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‘Il mistero della cascata’: quell'irresistibile fascino del male

Giovanni Cocco crea un nuovo investigatore, il maresciallo Mantegazza, che entra nei meandri della mente umana

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

05 Novembre 2025 - 05:25

CREMONA - «Al male non ci si abitua, ma ci si fa il callo. L’importante è riuscire a mantenere la distanza morale e astenersi dal compierlo». In estrema sintesi è questo il messaggio del gialloIl mistero della cascata’ con il quale Giovanni Cocco, già coautore della fortunata serie del commissario Stefania Valenti, arricchisce la platea degli investigatori letterari italiani di un nuovo, significativo, protagonista: il maresciallo dei carabinieri Alfredo Mantegazza.

OCCHI VISPI, FRONTE ALTA

«Uomo dal carattere difficile, così almeno lo definivano gli altri, ma una persona onesta. Di corporatura robusta… dagli occhietti vispi, dalla fronte alta, dal viso curiosamente affilato rispetto al resto del corpo, doveva andare per i 55, forse appesantiti dalla strana andatura: l’uomo, infatti, trascinava goffamente la gamba destra». Una ferita nel corpo e una nell’anima: la morte dell’amatissima moglie Marta, alla quale si rivolge nei tanti momenti bui. Cocco ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista.

«È un personaggio fuori tempo massimo perché su di lui la vita ha inferto colpi dolorosi. È costretto dalle incombenze di ogni giorno a doversi occupare di un caso. Si muove nella contemporaneità, per cui è un mondo di WhatsApp, di call, di auto ibride e sigarette elettroniche in cui però l’indagine poliziesca segue i canoni della grande scuola del giallo internazionale».

INDAGA ALLA MAIGRET

Indaga alla Maigret, nel senso che ci mette creatività, fantasia e intuizione. Un’attitudine che lo porta a prendere in considerazione e scartare molte ipotesi, tanto che lo scenario cambia completamente a ogni interrogatorio, rendendo sempre più intrigante la storia. «Un paragone ingeneroso nei confronti di Maigret - si schermisce Cocco -. Sono un grandissimo appassionato di Simenon, lo ritengo il più grande scrittore di polizieschi, con pochissime pennellate riesce a farti vivere non solo i personaggi e i luoghi, ma intere epoche. Per Mantegazza l’intuito è fondamentale, così come la capacità quasi da entomologo di riuscire entrare nei meandri della mente umana. Ken Follet teorizzò la regola dell’un colpo di scena ogni quattro pagine. Ne ‘Il mistero della cascata’ cerco di rispettarla».

Con lui due ‘segugi’ in divisa: la brigadiere capo Stella Castelnuovo, «riccia, mora, alta un metro e settanta, sveglia e loquace era di fatto il suo vice… non era solo una brigadiere capo perfetta... ma anche un’investigatrice dall’ottimo fiuto e una donna che faceva girare la testa agli uomini» e Claudio Zanonche, che possiede «una certa testardaggine e ogni incarico che gli veniva affidato veniva sempre portato a termine in maniera impeccabile».

Coprotagonisti impeccabili. Mantegazza arriva sulla scena del crimine con una gran voglia di fumare. Ma ha smesso ed è sempre più nervoso: le ha provate tutte, ma nulla riesce a calmarlo. Specie ora, di fronte a un caso insolito. Roberto Riva, 30 anni, ultimo erede di un impero industriale, è annegato nelle acque ghiacciate del lago Segrino, al confine della Brianza comasca e lecchese.

I LUOGHI DI NIEVO E GADDA

La pista del suicidio non convince: perché un ragazzo ricco, di buona famiglia e a un passo dal matrimonio con la fidanzata incinta avrebbe dovuto uccidersi? L’unico dettaglio fuori posto riguarda la sua vita spirituale. Roberto frequentava una misteriosa cascata presso cui si raccolgono numerosi fedeli sedotti dal carisma di Laide Frigerio, santona, veggente e guaritrice. Mantegazza intuisce che i Riva e la Frigerio nascondono qualcosa. L’azienda guidata dal padre e dallo zio di Roberto è l’unico appiglio che tiene unita una famiglia sconvolta da invidie, rancori e gelosie. Il culto della cascata invece, sempre più seguito, sta riscuotendo donazioni sospette.

«Siamo a febbraio, è un inverno freddissimo e siamo su un lago caro a Ippolito Nievo, ma anche a Carlo Emilio Gadda e a tanti altri scrittori. In questo scenario, sembra quasi che l’autore si sia lasciato sedurre da quel clima miracolistico. Spiega: «Siamo circondati da esperienze simili di cui la Madonna di Civitavecchia è solo l’ultimo di tantissimi casi. Ho voluto ribaltare la prospettiva e provare a raccontare questa storia dal punto di vista di chi crede ai miracoli, proprio perché la credenza popolare, che talvolta scade in superstizione, talvolta è inspiegabile con gli strumenti della scienza». La soluzione non è però miracolistica, ma frutto di un’investigazione molto precisa in uno scenario nel quale entra anche la criminalità organizzata».

C’è una dialettica sottesa al romanzo tra il placido mondo del lago e quello della montagna, della collina nella Twin Peaks provinciale che è la Valassina, che invece è spettrale da ogni punto di vista, sotto il profilo urbanistico così come dal punto di vista della mentalità di chi vi vive. Nella perfetta tradizione del giallo all’italiana, Cocco propone riflessioni sulle cose della vita, in particolare sulla seduzione del male. «È il motivo per cui noi viviamo di cronaca nera e gli approfondimenti televisivi dei casi di cronaca hanno vasta audience: in ciascuno di noi c’è del male, l’importante è saperlo riconoscere». Come nel fascino emanato dal “cattivone”.

IL TITOLO BOCCIATO

«Qui mi rifaccio a un personaggio letterario straordinario, il don Gaetano di Todo modo di Leonardo Sciascia, un sacerdote e quintessenza del male. Una figura straordinaria. Il mio romanzo avrebbe dovuto intitolarsi La prospettiva del male, ipotesi scartata per ragioni commerciali. Quell’idea iniziale era però esattamente il punto centrale: come il male possa essere visto da diverse prospettive e come segua percorsi e traiettorie imponderabili».

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