L'ANALISI
25 Settembre 2024 - 05:25
CREMONA - «... Chi la conosce poco crede che la nebbia abbia solo a che fare con il non vedere un’ostia al di là della punta del proprio naso. Era invece questione di aromi, prima di tutto: dopo la vendemmia e gli ultimi raccolti, i campi con le prime brinate, si erano chiusi in se stessi, tacendo i propri odori. Solo nei luamari (Ndr: letame, in dialetto veneto) fumiganti si respirava ancora il sentore buono delle bestie, ma nella campagna gelata pure l’aria pareva fatta di vetro. Ma era nell’udito che Fumana provava più piacere smarrendosi in quelle nebbie: era come se la nebbia, che pure ti lasciava passare senza opporti alcuna resistenza, saturasse l’aria, e ovattasse suoni e rumori all’intorno. La campagna all’improvviso sembrava una stanza chiusa, sicura e accogliente: niente echi, niente distanze. Tutto pareva prossimo, il raspare dei merli tra i pampini anneriti, il frullo leggero del pettirosso, il gocciare della nebbia che si rapprendeva ai rami, e da lì pioveva sul fogliame rinsecchito, in tonfi lievi e quieti. Fumana aveva capito che nella sua vita strana la nebbia era la cosa più vicina a una madre che avesse mai avuto...». Sensazioni note a chi, abita la pianura padana, ma anche emozioni difficili da mettere nero su bianco così efficacemente e tanto liricamente.
A dare corpo e vita a Fumana, che significa proprio nebbia in dialetto veneto, è Paolo Malaguti con il suo nuovo romanzo a cui ha dato come titolo il nome della protagonista. Ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista ‘tre minuti un libro’ online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it. Una storia veneta che parte dalla fine dell’Ottocento e prosegue fino al 1954, significativamente racchiusa tra due catastrofi naturali. «Racconto tutta la vita di Fumana dalla nascita nel 1882, durante una pesante alluvione che ha devastato il Polesine e lei ci abbandona nel 1951 con un’altra alluvione più famosa e più fresca nella nostra memoria, quella del Po. In tutti questi anni ovviamente cambia l’Italia e Fumana, anche se vive in un paesino, vede e sente i cambiamenti».
Una storia raccontata con stupende e suggestive descrizioni di paesaggi e atmosfere quasi fiabesche. Fumana non ha paura di nulla. Lo sa bene suo nonno, il rude Petrolio, che di notte la porta nelle paludi a pescare le anguille. Cresce libera e selvaggia, ma quando comincia a farsi donna, deve chiedere aiuto alla Lena, la «strigossa» della zona. Da lei imparerà molte cose, da come stendere la sfoglia per i cappelletti alle parole segrete che usa per guarire le persone. Perché questo fanno le ‘strigosse’: hanno il dono di guarire e lo dispensano agli altri gratuitamente.
‘Se nasse striga, no se diventa, perché le xe done diverse dale altre’, come recita un proverbio popolare. Cosí, mentre l’Italia passa da una guerra all’altra, Fumana scopre il suo dono. Una storia piena di tenerezza sui legami e sulla trasmissione dei talenti, sull’accettazione del proprio destino ma anche sulla tenacia nel cercare la propria strada. A Fumana la nebbia piace così tanto che a volte, quando si immerge in quel bianco opalescente, sembra ci sia qualcuno – o qualcosa – ad aspettarla. Le piace pure pescare con il nonno, la notte, sul sandolo, una lanterna a illuminare il buio della palude.
E poi, da un certo punto in avanti, inizia a piacerle anche Luca: dopo aver fatto il bagno con lui alla pozza delle monache, torna a casa senza sapere bene che cosa le si agita dentro, e perché. E Petrolio accetterà serenamente anche questo sapendo che «dove che ghé xe fèmena innamorà xè inutile la porta sarà». La notte in cui Fumana è nata sembrava che l’Adige volesse portarsi via tutto il Veneto. Se sopravvivi a un disastro come quello, con tua madre che muore di parto e tuo padre che forse è fuggito verso la Merica è perché la vita ti ha destinato a qualcosa di importante. I primi anni col nonno Petrolio Fumana li passa a esplorare tutto ciò che può e a far finta di non sentire i giudizi degli altri.
Ma poi l’infanzia finisce e l’incontro con Lena, che con certe sue parole, con i suoi segni e le sue erbe guarisce la gente, sarà la svolta. Ma accettare il proprio dono – Fumana è «venuta al mondo con la veste» e ha perciò qualità prodigiose – significherà forse sacrificare tutto il resto. Petrolio ha avuto per lei un ruolo importante «di educatore non solo perché le insegna anche a opporsi a quelle apparenti ingiustizie che ci sono sempre. Senza fare crociate ma rivendicando la propria autonomia di giudizio». Malaguti racconta una storia antica eppure ancora vicina. Un mondo perduto tra il fiume e la pianura, tra la pesca e la magia contadina, al centro del quale c’è un personaggio femminile tenace, alle prese con le aspettative di una società chiusa, a tratti meschina, e il desiderio di essere sé stessa. Un romanzo che celebra le radici, le tradizioni e i legami tra le generazioni. Ma narra anche come il progresso cambia e devasta la geografia dei luoghi e delle anime di chi li abita.
Malaguti è fra i non molti autori che sanno come si muovono le emozioni. «Secondo me la letteratura ha nel proprio nel suo primo Dna, quello più profondo, lo scopo molto semplice di far provar piacere a chi ne fruisce e credo che questo piacere debba comporsi almeno in parte di un lato emotivo. Che generi commozione, paura o una risata - insomma che non ci lasci impassibili - penso che sia una condizione necessaria, se no non è letteratura».
Sentimenti che questa storia ha mosso allo stesso autore. «Ho voluto bene a Fumana, quello con lei è stato un bel viaggio per me, sorprendente per molti versi. Il Canalbianco è la sua casa, le valli e le paludi il suo orizzonte. In questo libro si parla di guaritrici, o segnatrici, o strigosse se preferite. Le donne che curavano con parole buone, quando in campagna il dottore non c’era. Fumana mi ha portato in un mondo che forse non mi sarei aspettato di trovare, che non conoscevo, che mi ha colpito per ricchezza di tradizioni e per la sua permanenza, perché in qualche modo le segnatrici ci sono ancora».
La gente ne sfrutta il dono ma non le ama. «Storicamente è proprio così, cioè tante delle strigosse studiate nell’antropologia e nelle tradizioni popolari avevano una chiara caratteristica: erano temute. Si ricorreva a loro per il fuoco di Sant’Antonio o altri mali, ma al primo problema erano additate come responsabili del malocchio o della disgrazia familiare. E poteva accadere che queste donne vivessero vite solitarie, difficili».
Però il bene è il dono che loro che potevano e possono dare agli altri e continuano a farlo. «Questo aspetto mi ha intrigato parecchio. È una bella differenza rispetto alla nostra cultura nella quale se hai una competenza vieni educato a sfruttarla anche ai fini economici. Invece la gratuità era una caratteristica delle guaritrici e Fumana in questo non fa eccezione. Non chiedevano mai niente perché non avevano studiato per ricevere questa facoltà e di conseguenza era giusto donarla agli altri».
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