L'ANALISI
STRADIVARIFESTIVAL: IL VIDEO
05 Ottobre 2022 - 08:41
CREMONA - Lo Stradivarifestival festeggia un traguardo importante — spegnere dieci candeline — e Alessandro Quarta, protagonista del concerto inaugurale, onora una promessa: «Un giorno di due anni fa ho telefonato al direttore artistico del Museo del Violino, Roberto Codazzi. Tra noi c’è una grande stima. Gli ho proposto un concerto in duo con mio fratello Massimo, con cui non ho mai, mai suonato! Lui mi ha chiesto di prometterglielo, e una promessa è una promessa. Per me e mio fratello sarà la prima in assoluto ed è per noi un grande onore aprire lo Stradivarifestival, uno dei più importanti al mondo».
Il virtuoso strumentista salentino, classe 1976, che con le sue incendiarie escursioni nell’immaginario musicale «all around», sta cambiando la fisionomia dello stile violinistico contemporaneo, è stato ospite ieri pomeriggio in redazione accompagnato dal maestro Codazzi e dal «suo» Alessandro Gagliano 1723, il violino che suonerà sabato sera all’Auditorium Arvedi (ore 21) nella straordinaria reunion con il fratello Massimo, virtuoso del violino pure lui, così simili nel talento e così diversi nei rispettivi percorsi stilistici. Allo Stradivarifestival Quarta non imbraccerà uno dei preziosi strumenti usciti dalla bottega del liutaio cremonese «ma per certi aspetti sì — spiega —. Gagliano arrivò a Cremona da Napoli per imparare il mestiere, fu allievo di Stradivari e del grande maestro è la verniciatura. Quindi lui almeno per un 30% c’è».
Se dovesse raccontare a chi non la conosce chi è Quarta, quali parole userebbe per descriversi?
«Passione, innanzitutto, e poi energia che vedo come un risultato della combinazione di sacrificio e disciplina. Fondamenti nella professione, altrimenti non si va da nessuna parte. Il talento però non basta, sacrificio e dedizione devono essere mossi solo dalla passione».
Wikipedia l’ha dimenticata, se ne dispiace?
«Non sono un patito di coloro che si vantano, sono un patito di coloro che fanno. E do peso alle parole. Ecco perchè sono sempre in lotta con i politici, per i quali le parole sono come l’acqua nel deserto, prima o poi svaniscono».
Si definisce imprenditore prima che artista?
«È così che mi vedo. L’imprenditoria è nata con l’arte che non significa pittura, o scultura o letteratura ad esempio. Arte significa creare. Mi sento un po’ la pecora nera degli artisti per aver tolto il frac al violino. Non c’è cosa più bella che suonare se stessi e non cambiarsi d’abito per suonare davanti al pubblico. Perchè in quel momento tu stai scrivendo una storia che mai si ripeterà e nessuno potrà più ascoltare e vedere. C’è la registrazione, il video, ma è la presenza, l’essere lì in quell’istante, a fare la differenza».
Delle quattro arti - lettura, pittura, scultura e musica — quest’ultima è arte morta, lei sostiene. Perchè?
«Perchè è l’unica delle quattro a non avere oggettività. La monna Lisa è una donna, è oggettivo. A meno che tu conosca la musica, quattro note sul pentagramma non le sai leggere. Ma se io quelle quattro note le suono (e le suona sul Gagliano) mi dici: ah sì, l’ho sentita, la conosco. La musica vive grazie alla soggettività dell’interprete. La bellezza della musica è questo, ma è anche il suo problema. Se non c’è vita nell’interprete la musica è morta».
Nella sua formazione prima viene il blues e poi il resto.
«Mio fratello Massimo ha avuto subito le idee chiare si cosa diventare, un violinista, ha studiato alla Stauffer come me, ha vinto un Paganini. Io ho voluto essere prima musicista, nel senso che mi piace suonare il pianoforte forse più del violino, amo la chitarra, la composizione. E poi amo il blues, c’è sensualità e sessualità come del resto in Bach e Vivaldi. O Piazzolla. Oggi ci sono tanti tabù, anzi, troppi. La sensualità è sempre stata il collante fra compositore e composizione. Poi via via gli editori e gli interpreti stessi hanno pulito l’arte per renderla più colta».
Lo dice con una punta di fastidio?
«Musica colta, che definizione terribile, come se volessimo mettere un muro fra chi ascolta Bach, ed è intelligente, e chi invece ascolta i Beatles. Non credo che Mozart pensasse di comporre musica classica, un’etichetta arrivata poi. È musica, e basta».
Ritiene che gli artisti debbano essere impegnati in politica? Lei lo è?
«Dico solo che il popolo è sovrano e che non ho mai avuto una maglietta addosso, rossa o nera. Per fortuna sono morte entrambe».
Al collo porta una sciarpa con la bandiera americana...
«Un ricordo affettivo segretissimo, dal valore immenso. Ma poteva essere la bandiera di un paese qualsiasi».
Quarta è un partner artistico richiestissimo, si dice.
«Sembra che chi appare in copertina o in tv alla fine sia più bravo degli altri. In tv ci sono stato anchi’ io, forzatamente, perchè la musica mi ci ha portato, con Roberto Bolle e al Festival di Sanremo con Il Volo. Non mi piace a apparire, sono per la libertà fino ad un certo punto. Se ti dicessi la ricetta di ciò che sono, tutti penserebbero di saperla fare».
Quale segreto custodisce la musica che la parola e l’immagine non possiedono?
«Il profumo. Quello che ti fa rivedere e rivivere quello sguardo, quel bacio, quell’abbraccio che tu hai fatto tanto per dimenticare. Ecco il segreto della musica, e la sua forza».
(Imbraccia il violino, suona qualche nota di Ogni volta di Vasco Rossi e Yesterday dei Beatles) e aggiunge: «Oggi si pensa che il rock significhi tatuaggi, chiodo, metal, non è così. Il rock è di tutti, anche di coloro che hanno collocato la musica classica sulla cima della piramide. E se ti siedi lì, non arriverai mai da nessuna parte. È sicuro».
Ha ottenuto premi e riconoscimenti internazionali. Si sente gratificato?
«Vorrei essere ricordato solo per la mia musica. Non ho famiglia, non ho voluto figli per dedicare tutta la mia vita, fin dall’infanzia, alla musica. So di essere irresponsabile, un bambino, un disgraziato ma nessuno e niente si deve anteporre allo studio, alla scrittura, all’esercizio».
Le è stato rimosso un tumore situato tra le fasce del collo e i nervi cranici, ha dovuto rieducare e cambiare la postura. È stata dura?
«Mesi d’inferno. Negli ultimi tre anni, faticavo a mantenere il violino, mi scappava. Mai successo. Un tumore benigno di 8 centimetri per 5 centimetri e mezzo copriva uno maligno. Un mese ancora e sarei stato spacciato. Non smetterò mai di ringraziare gli oncologi dell’ospedale di Bolzano guidati da Luca Calabrese che mi hanno salvato la vita. Ho pensato di smettere di suonare, e l’ho fatto. Che senso ha continuare a vivere senza suonare, mi chiedevo? Cercavo di capire come reggere il violino perchè tutto era cambiato: posizione delle dita, impugnatura, intonazione, sensibilità. Ore e ore a provare. La caparbietà mi ha portato fin qui. Oggi sono qui. Che cosa te ne fai dei soldi, se poi ti viene il tumore? La felicità non è possedere, se mi lamento vuol dire che sono vivo, se gioisco vuol dire che sono vivo. D’ora in avanti suonerò con la luce accesa in platea. Avremo tempo per sperimentare il buio».
L’Auditorium Arvedi si presta ottimamente allo scopo...
«Il contatto così ravvicinato con il pubblico è la cosa più bella che mi potesse capitare».
Alessandro e Massimo: la musica ieri vi ha diviso, oggi unito.
«Avevo 3 anni quando Massimo che ne aveva 15 ha lasciato Lecce per studiare a Roma. Mi sono sentito figlio unico e pochi anni dopo ‘fratello di’ quando nel 1991 ha vinto il Paganini. Io ero appena diplomato al Conservatorio. Basta violino, mi sono detto, non lo posso più vedere. Farò il pianista. Mi sono dato al blues, al rock, al jazz, ho studiato composizione con Giorgio Gaslini... Fino a quando mi sono detto: c’è qualcuno in Italia che fa il jazz bene, il blues bene, la classica bene più di Alessandro Quarta? No, e ho ricominciato. Con umiltà, un dovere nei confronti del pubblico. Su Instagram sei ricco con i soldi del monopoli, ma noi musicisti abbiamo bisogno che la gente compri il biglietto e vada a teatro».
Quante ore si applica al giorno?
«A tutte le ore possibili e immaginabili, dopo il tumore e il cambio di postura mi sono reso conto che il musicista è un atleta e non un musicista fine a se stesso. Suonare il violino è andare contro la forza di gravità: mi sento come se avessi 96 anni in un corpo di 46... non potete immaginare i dolori».
Ha creato un genere musicale che si sposa con un look in piena libertà. Ha tatuaggi?
«No, perchè mi piace cambiare. Devo cambiare. Lo faccio con bracciali, anelli e orecchini, continuamente».
Conta più lo spartito o l’interpretazione?
«La cosa bella della musica è il fattore dinamico- interpretativo. Puoi suonare Beethoven incazzato nero, forte, etereo, triste, oppure quasi debussiano, o ancora barocco. Quanti modi ci sono. La composizione è di Beethoven, l’interpretazione è la mia. Questa è la grandezza della musica».
FOTO: FOTOLIVE/PAOLO CISI
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