L'ANALISI
05 Luglio 2023 - 05:25
CREMONA - Qualcuno ha continuato a uccidere, altri hanno voluto scomparire, c’è chi ancora non si è reso pienamente conto del dolore che ha provocato. Sono i protagonisti di alcuni tra i più famosi ‘mostri’ i cui delitti hanno scosso l’opinione pubblica negli ultimi decenni. Persone che hanno fatto il male e hanno rappresentato il male. Da Nicola Sapone delle Bestie di Satana ai serial killer Donato Bilancia e Maurizio Minghella, da Luigi Chiatti, il cosiddetto mostro di Foligno, alle tre ragazze che a Chiavenna uccisero per noia una suora, stanche della solita sera al bar del paese a bere birra. Nomi che rievocano orrore e sangue.
Stefano Nazzi, giornalista che ha seguito alcuni dei casi più clamorosi nonché autore di ‘Indagini’, uno dei podcast più ascoltati, pubblicato da ‘Il Post’, ha raccolto dieci storie di «efferati assassini», come li definisce in copertina, nel libro ‘Il volto del male’. Un testo volato nelle classifiche dei più venduti, che dimostra come la cronaca nera, i ‘delittacci’, colpiscono sempre al cuore l’opinione pubblica. Il suo non è il solito racconto di crimini sconvolgenti, ma il tentativo di capire com’erano e come sono diventati ‘mostri’ e, soprattutto, racconta anche ciò che è successo prima e dopo.
E' il contenuto di ‘Tre minuti un libro’ la videointervista settimanale online da oggi. «Nel podcast racconto molto di indagini, di percorsi processuali, nel libro ho voluto raccontare le persone. Partendo da un presupposto molto chiaro: i termini che molto spesso usiamo noi giornalisti, tipo raptus, non trovano alcun riscontro nella realtà, ogni vicenda criminale è la conclusione o il passaggio di una storia che parte da più lontano. Mi interessava capire che cosa è avvenuto in questi assassini, se c’è stata una redenzione nel percorso in carcere oppure se e perché una volta usciti sono tornati a uccidere».
Nazzi fa rivivere quelle storiacce con stile essenziale, senza moralismo, il suo è un racconto asciutto crudo, la semplice cronaca che fa entrare il lettore nelle vicende raccontate senza artifici letterari. «Noi giornalisti - spiega -, non siamo né giudici, né avvocati, né preti. Dobbiamo raccontare i i fatti così come sono avvenuti, nella maniera più onesta e sobria possibile. Poi ognuno, se vuole, si fa l’idea su ciò che è avvenuto». L’esatto contrario di quanto accade quando di vuole spettacolarizzare il dolore, sbattendolo in prima pagina o, come di può notare sempre più frequentemente, in primo piano dentro un servizio televisivo.
Quelle di Nazzi sono storie di persone diverse, lontane nel tempo e geograficamente, ma con una caratteristica in comune: «Non avere alcuna empatia per il resto del genere umano. Sono di un egoismo esasperato, per loro raggiungere l’obiettivo, anche se minimo, è l’unico fine: annullano qualsiasi ostacolo, anche costo di sacrificare vite umane».
L’enorme interesse che suscitano nel pubblico le loro vite non è, secondo Nazzi, solo voyeurismo, ma ha addirittura qualcosa di salvifico: «Un po’ ci attrae il lato oscuro della vita che non capiamo. Interessarcene è in qualche modo assolutorio: contestualizzando quei fatti riusciamo a porli lontano da noi, a pensare ‘queste cose però non sono il mio mondo’. È una via di fuga, perché il male, seppur in percentuali che sappiamo essere molto minime, fa parte della vita di ognuno di noi. Quindi vedere quello degli altri ci aiuta a curare il nostro».
Il giornalista ha scelto le dieci storie in modo che fossero di persone cresciute in ambienti culturali e sociali molto diversi: «È vero che se tu nasci in una situazione degradata, in cui si respira violenza e dove si fa fatica a vivere, sei probabilmente più incline alla violenza. Però ci sono anche persone come i tre del Circeo, che erano di buona famiglia, oppure come Gianfranco Stevanin, figlio di un proprietario terriero e molto abbiente».
Nazzi, pur essendo avvezzo come cronista alla brutalità dei crimini, ammette che «la storia che continua a impressionarmi di più è quella delle cosiddette Bestie di Satana, perché lì ti trovi di fronte al vuoto assoluto. A volte i criminali hanno un progetto, malato certo, ma questi ragazzi invece non ne avevano alcuno se non, come disse una di loro, di far del male per fare del male».
Sono anche racconti di criminali che una volta pagato il prezzo con la giustizia poi ci ricascano. Come Angelo Izzo, uno dei tre che al Circeo commisero uno dei delitti più sconvolgenti, con il sequestro, lo stupro di gruppo e l’uccisione di Rosaria Lopez e la quasi uccisione di Donatella Colasanti. Dopo 30 anni di carcere esce e uccide altre due donne. «Lo arrestano e dice ‘ma io pensavo davvero di essere cambiato di essere diventato buono. Poi queste due qua mi stavano addosso mi ha fatto impazzire’. E torna quello di un tempo. Le uccide e a chi lo cattura spiega candidamente ‘ma io non vi ho mentito quando vi dicevo di essere cambiato. Pensavo di esserlo davvero’». Chissà se ci credeva lui stesso.
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