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Biblioteca spazio sociale, le parole sanno di futuro

Conservazione e apertura al pubblico: la ricerca e i servizi di lettura sono un tutt’uno. Nelle testimonianze di Rita e Virginia la potenza visionaria di due ragazze di un tempo

Raffaella Barbierato (Direttrice della Biblioteca Statale di Cremona)

17 Settembre 2024 - 05:15

Biblioteca spazio sociale, le parole sanno di futuro

Si pensa alla biblioteca «come a qualche cosa di ammuffito, generalmente alloggiato all’interno di vecchi palazzi e popolato di vecchi signori, mentre invece deve essere un luogo di incontro e di convivenza» (V., 25 anni). Le sale della biblioteca «erano occupate da studiosi, di solito anziani, che sbuffavano al minimo rumore; invece è bello poter studiare in un ambiente moderno e accogliente» (R., 16 anni). Queste opinioni, sintetizzate nei loro termini generali, sono state espresse da due giovani donne ed hanno come riferimento proprio la Biblioteca Statale di Cremona. Considero entrambe piuttosto significative per interpretare il rapporto tra giovani e biblioteche, ma anche l’indubbio gap generazionale che si risolve in varietà di richieste ed esigenze e difformità di visione nell’approcciarsi al servizio bibliotecario: uno scenario di cui la Bibliioteca non può – e non ha mai potuto – non tener conto.

Se da un lato ci sono le esigenze degli studiosi (siamo onesti, non sempre e non necessariamente sono gli anziani signori intolleranti descritti dalle nostre ragazze), che dalla Biblioteca richiedono materiali e servizi – libri, documenti, percorsi di ricerca aperti su altre realtà bibliotecarie, accesso alle fonti ovunque si trovino — sfruttando quella invisibile ma solida rete tra Istituti cui la Biblioteca è parte, dall’altro lato ci sono invece le generazioni più giovani, che nella biblioteca vedono soprattutto un luogo nel quale ricercano spazi di studio, di lettura, di incontro, di riferimento. Li vogliono moderni, attrezzati e connessi.

In definitiva, sono le due anime che da sempre caratterizzano la nostra Biblioteca Statale: la conservazione e l’apertura al pubblico, la ricerca e i servizi di lettura. Una dicotomia che a ben guardare risulta solo apparente, soprattutto in tempi di innovazione digitale. Infatti, proprio la tecnologia digitale che consente il miglioramento degli strumenti di ricerca, fornisce anche ‘ambienti’ più attuali e fruibili. Guardando nel concreto, nell’era della trasformazione digitale — iniziata per quanto riguarda la Biblioteca Statale nei primi anni Duemila — le biblioteche sono diventate vere e proprie piazze virtuali.

Questa trasformazione ha rimodulato l’esperienza quotidiana degli utenti nell’ambito delle ricerche bibliografiche e della fruizione dei contenuti e servizi digitali. A partire dai cataloghi on line (al plurale, perché ne esistono molti e specializzati in differenti settori, dalla fotografia al manoscritto), per passare ai repertori, banche dati e biblioteche digitali, la ricerca bibliografica si è spostata dalla sala di lettura della biblioteca a qualsiasi postazione informatica collegata a internet (non esclusa la scrivania di casa) e ottimizzata per essere fruita da dispositivi mobili: non è un caso che nella Sala Consultazione della Biblioteca, recentemente, scaffali di repertori siano stati sostituiti da due computer dedicati a disposizione del pubblico, già collegati con le versioni digitali delle stesse opere.

Ma non è nemmeno un caso che, ormai da quasi vent’anni, tutti gli spazi della Biblioteca (cortile compreso) offrano la connessione wi-fi, libera e disponibile per tutti. Nella stessa ottica è da leggere la massiva digitalizzazione delle collezioni, migliaia di titoli liberamente consultabili sulle maggiori piattaforme, da Google Books alla Biblioteca Digitale Italiana: un processo, quello della riproduzione ai fini di una maggiore e generalizzata accessibilità ai testi, che nasce da lontano. Per questo motivo, per poter cioè dare una profondità storica alla sempre perseguita necessità di innovazione (e anche per spiegare quali sono i nostri punti di riferimento), risulta necessario rivelare l’identità delle due ‘opinioniste’ d’apertura.

Cominciamo dalla più giovane, R come Rita, una sedicenne Rita Barbisotti che nel 1942 pubblicava sulla rivista della Gioventù Italiana un suo breve articolo dove descriveva ed elogiava la novità della Sala Studenti (ora Ragazzi) della Biblioteca Statale (allora Governativa), la prima ed unica in Italia; una Rita Barbisotti che, laureata in giurisprudenza con una tesi Sul regime delle biblioteche pubbliche e con all’attivo Proposte per un possibile miglioramento del sistema di registrazione dei prestiti in uso presso le biblioteche governative, trent’anni più tardi quella stessa Biblioteca l’avrebbe diretta con occhi attenti sia alla conservazione e alla ricerca, in una visione della Biblioteca stessa produttrice di contenuti - per tutti, i suoi studi sulla tipografia cremonese e gli studi promossi sulle fonti di storia cittadina -, sia all’innovazione e alla diffusione - la massiccia opera di fotoriproduzione che ha dato origine ad un patrimonio di migliaia di microfilm che hanno rappresentato un formidabile strumento prima dell’avvento del digitale.

Risulterà ora facile, per chi ha un po’ di dimestichezza con il mondo della Biblioteca Statale, arguire che dietro l’altra iniziale, V, si cela la figura di Virginia Carini Dainotti, che nel 1936, a 25 anni, diventa direttore di una Biblioteca che occupava gli stessi locali dal 1600: uno spazio ormai troppo angusto non solo per i libri, ma anche per le idee: in particolare, quell’idea arrivata da oltre oceano e di cui la Dainotti era una convinta sostenitrice, di public library, cioè biblioteca effettivamente rivolta all’intera comunità di lettori, in grado di offrire un vero servizio di lettura e di informazioni quale diritto primario di ogni cittadino.

Il trasferimento della Biblioteca in palazzo Affaitati – voluto e realizzato dalla direttrice in meno di due anni nel 1938 – non ha riguardato solo lo spazio, ma ha rappresentato un vero e proprio salto nel tempo, talmente efficace da essere pensato anche per l’oggi. D’altra parte, non avrebbe potuto essere diversamente alla luce di queste sue parole: «L’essenza della biblioteca è quella di un organismo vivente, in continua trasformazione: possiede una memoria, da cui la cura verso il passato, concretizzata attraverso la conservazione; ma rivolge anche l’attenzione a ciò che le sta intorno, da cui la cura verso la larga platea di tutti coloro che sono in possesso di un livello, anche se minimo, d’istruzione. La biblioteca è al servizio degli sviluppi che la cultura assume: aspetta che i bisogni diventino reali e maturi, nonché auto-coscienti, per fornire poi una risposta adeguata». una bussola per chiunque viva la Biblioteca, con qualsiasi ruolo.


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