Il Museo del Violino è un atto d’amore per Cremona. Queste parole, espresse dal sindaco Oreste Perri a margine della presentazione della nuova struttura alla stampa, spiegano come sono maturate l’idea e la realizzazione del progetto di trasformazione del Palazzo dell’Arte nello scrigno della liuteria classica e moderna. E’ un atto d’amore anche avere sottratto un pregevole immobile storico all’abbandono e al degrado. Come tutti i sentimenti positivi, e forse più di ogni altro, l’amore ha bisogno di essere nutrito ogni giorno con gesti e attenzioni per non svanire nell’indifferenza e degenerare nell’ostilità, producendo odio e rancore. E’ più rapido di quanto si possa immaginare il passaggio dall’incantesimo della bellezza al fastidio. Oggi l’MdV è al centro dell’attenzione generale: su questo prodigio dell’architettura, dell’arte e della tecnologia sono puntati gli occhi dei musicisti, dei più autorevoli rappresentanti dell’universo museale italiano e internazionale e dei responsabili delle agenzie culturali. Tutta la città deve sentirsi inorgoglita per la creazione di un’opera che unisce con un ponte ideale il nostro passato glorioso a un presente non meno fecondo e che ci proietta nel futuro. Il Museo del Violino è la più importante carta che Cremona può giocare per accreditarsi tra le capitali mondiali della musica. Lo può diventare, ma non lo è ancora. Ci piacerebbe che Stradivari fosse per Cremona non solo il nostro concittadino più famoso, ma anche un marchio come Mozart lo è per Salisburgo, dove tutto ruota attorno al genio al quale la città diede i natali. Amadeus si avverte in ogni angolo del borgo austriaco che deve a lui fama e prosperità. Non solo durante il Festival annuale, ma tutti i giorni il grande compositore è una presenza viva che travalica il circuito strettamente culturale, coinvolge l’intera città e si manifesta come uno straordinario fattore di sviluppo economico. L’MdV genera analoghe attese. I flussi turistici aumenteranno e il commercio, ma non solo, ne beneficerà se verranno sfruttate a fondo le potenzialità. P ortato alla perfezione costruttiva da Stradivari, Amati e Guarneri del Gesù, il violino è il nostro Mozart.
E da oggi ha una casa splendida e ipertecnologica che ne celebra i fasti, esalta la capacità dei contemporanei e guarda al domani. Il Museo è il punto di partenza, non la meta. E’ la prima pietra di un edificio nel quale tutta la città deve entrare. Non è la turris eburnea di una élite che potrebbe avere la tentazione di gestirlo come uno spazio avulso dal contesto esterno. E’ uno dei tesori di Cremona, che ci appartiene, come il Duomo, il Torrazzo, il Battistero e il Teatro Ponchielli. E’ patrimonio della città come il violino lo è dell’umanità. E’ una finestra spalancata sul mondo che dobbiamo sentire nostra. Bisogna coltivare questo senso di appartenenza per evitare che all’entusiasmo della novità subentri l’indifferenza. Bisogna abbattere barriere e steccati, anche culturali. Gli affollati e applauditi concerti che i 2 Cellos e gli Gnu Quartet hanno tenuto di recente a Palazzo Affaitati indicano nuove strade da seguire. Non bisogna temere contaminazioni e fusioni di generi diversi come ci insegnano i più grandi musicisti. E in modo analogo, i diversi soggetti che concorrono a fare di Cremona la capitale della liuteria devono lavorare in sinergia, percorrendo strade diverse ma con un unico obbiettivo. Pensiamo all’Istituto musicale Monteverdi, a CremonaFiere con Mondomusica, al Ponchielli, alla Camera di commercio e agli enti locali: sono solisti che un’attenta regia politica deve invitare a formare un’orchestra destinata a produrre qualcosa di unico. Cremona ha dato nel tempo fin troppi esempi del suo autolesionismo, soprattutto in campo culturale. Si è divisa sui progetti migliori, affossandoli. Ne ricordiamo uno per tutti: il centro per il restauro degli strumenti liutari, migrato a Pavia per le rivalità tra le lobby cittadine e per la miopia e l’ignavia dei politici locali. Considerati i fallimenti e le occasioni perse in epoca recente e remota è straordinario che la città oggi abbia una struttura così prestigiosa. Non l’avrebbe se un imprenditore privato, Giovanni Arvedi, non si fosse accollato oneri e rischi. Ma basta poco per distruggere il lavoro di molti e perdere anche questa opportunità insostituibile.