L'ANALISI
22 Giugno 2025 - 05:05
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
(Lc 9,11-17)
Proprio in queste ore accadono cose contraddittorie: in alcuni luoghi – per la verità pochissimi – si cerca di costruire accordi tra popoli, si fa cenno anche al gigantesco problema del debito internazionale dei Paesi più poveri, agenzie ed organizzazioni non smettono di lavorare e lanciare appelli. E poi c’è papa Leone, tra i pochissimi ad esprimere a nome della stragrande maggioranza dei fratelli dolore per i conflitti. In altri luoghi – e li vediamo attoniti alla tv in ogni momento – piombano missili costosi e precisi, frutto del folle investimento umano in morte e di una intelligenza che sa essere diabolica. Questa è l’umanità. Un’umanità che per qualcuno meriterebbe l’estinzione, per qualcun altro sopravvive a se stessa con costi straordinari. Comunque la si pensi, è una umanità che ha bisogno di cura. Le serve un intervento urgente di accudimento, speranza e guarigione, perché il male, fisico e psicologico, spirituale e sociale, la sta minacciando e le sta erodendo le migliori energie. La gente è stanca: non ne può più di messaggi di morte e di prepotenza.
Il Giubileo che lo scorso natale papa Francesco ha indetto aprendo diverse porte sante, non può esaurirsi solo con un pellegrinaggio romano tra visite, preghiere e pasta all’amatriciana. Occorre osare di più, estendere il più possibile la cura a questa povera umanità sfinita. Come accade nel vangelo secondo Luca: si fa sera e il buio è sempre pericoloso. Il cibo scarseggia e la gente è in subbuglio. Che fare? Certo Luca sfodera un gesto miracoloso di Gesù, narrato decine di volte nell’arte di ogni epoca e ricordato come uno dei fatti più prodigiosi della sua “carriera”. Un gesto talmente eclatante che vien persino la tentazione di non crederlo possibile… avranno esagerato, l’avranno scritto per esaltare la sua persona… Chissà… Davanti ai miracoli di Gesù possiamo reagire in forme molto diverse. Ma su di un punto non possiamo transigere: i segni di Gesù sono conseguenza di una sua profonda e attiva capacità di guardare, cogliere, pesare. Il vero miracolo, comunque sia andata la faccenda, sta nei suoi occhi, nel suo non stancarsi di prendersi cura. Non è forse questa attitudine che oggi manca di più, mentre di cibo sprecato ce n’è in abbondanza e i supermercati, i ristoranti e le case private buttano via l’inverosimile? Chi guarda ai bisogni altrui? Chi esprime ancora solidarietà concreta? Chi sa reggere la catena della corresponsabilità, mettendo in pista ancora una volta l’invito di Gesù “date loro voi stessi da mangiare?”. La scarsità di mezzi, reale o presunta, diviene spesso un alibi rassicurante: come se a fronte del bisogno bastasse la compassione verbale, magari ripetuta retoricamente… un calmante per la coscienza, uno strumento inefficace per chi è nel bisogno. Gesù insegna a reggere lo scandalo del bisogno e a farsene carico, a credere nella forza di una catena che sa accogliere e assumere l’altro. Certamente occorre organizzarsi: far sedere le persone, non stare con le mani in mano… agire e strutturarsi, ma mai da soli, mai solo con le buone intenzioni. Qui sta il vero pane dato ai poveri.
La festa odierna del Corpus Domini ci ricorda senza dubbio che il tesoro più grande che le nostre chiese custodiscono non sta nei calici dorati o nelle tele degli altari, ma è quel pane che deve essere condiviso; è quel sangue versato che apre non all’emorragia dello sfinimento, ma alla diffusione dell’amore. Il corpo di Cristo è per i cristiani il segno della prossimità di Dio all’umanità: il suo corpo storico che ha camminato nell’Israele di allora; il suo corpo ecclesiale che si raduna per celebrare l’Eucaristia, se ne nutre e la trasforma in energia per la vita; il suo corpo sacramentale che è chiuso nei tabernacoli, ma al tempo stesso si fa cibo per il cammino dei discepoli. Tutto questo è il modo straordinario con cui Gesù ha pensato di insegnarci la cura, insegnarci a divenire pane spezzato per la storia… collaborando così alla salvezza. Il pane va spezzato e condiviso: quello della celebrazione e quello della vita, quello fisico delle riserve alimentari per tutti e quello spirituale di una fraternità che deve pure avanzare, deve essere pienezza da cui nessuno resti escluso.
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