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LA STORIA

Lungo il filo della memoria: «Mio nonno trapezista tra i pellerossa di Buffalo Bill»

Giuliana Chiti: «A Cremona incontrò Elena che faceva l’acconciatrice. Provò a lavorare in banca, ma durò poco»

Barbara Caffi

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bcaffi@laprovinciacr.it

12 Gennaio 2024 - 11:12

Lungo il filo della memoria: «Mio nonno trapezista tra i pellerossa di Buffalo Bill»

La famiglia Gaffurri: Elena è al centro e, accanto a lei, c’è il figlio Arturo Chiti, ragazzino

CREMONA - Giuliana Chiti, anzi ‘la’ Giuliana, la conoscono tutti: corista in cattedrale, volontaria infaticabile nel mettere la sua esperienza di infermiera al servizio di chi ha bisogno, colonna della scuola diocesana di musica sacra intitolata a don Dante Caifa. Sono in pochi tuttavia a conoscere la storia della sua famiglia, una storia dai contorni romanzeschi e avventurosi. Ci sono vite che scorrono lineari, dritte e senza imprevisti. Altre che vanno a zig zag, scartano di lato, si imbattono in percorsi tortuosi. Mario Chiti, il nonno di Giuliana, ha avuto una vita così, impervia e piena di sorprese.

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Mario Chiti (ultimo da sinistra) con i cognati Abramo e Isacco


«Di lui so pochissimo - dice Chiti, sorseggiando una tisana - perché in famiglia se ne è sempre parlato poco». E racconta, srotolando il filo dei ricordi. Mario veniva da Genova, città di mare e di vento, di aristocrazia borghese e traffici d’angiporto. Ha un fratello primo violino in un’orchestra importante, forse suona addirittura al Carlo Felice. Mario, invece, fa il trapezista, legge la mano e fa i tarocchi. Lavora nei circhi, nomade per vocazione, e questa è la prima cosa curiosa perché in genere l’arte circense si tramanda in famiglia e non si impara per caso.

È una storia un po’ alla Pinocchio, quella di Mario, che segue una vocazione tutta sua e che proprio con un circo arriva a Cremona. E non con un circo qualunque, ma con quello leggendario di Buffalo Bill al secondo tour europeo con il suo Wild West Show. Buffalo Bill (1846 - 1917, vero nome William Frederik Cody) era un cacciatore di bisonti, soldato, esploratore e infine impresario teatrale. Accolto ovunque da migliaia di spettatori trepidanti e plaudenti, Buffalo Bill si spostava nel Vecchio Continente con 500 cavalli e 800 uomini al seguito. Appartenevano a «dodici razze umane, dai Negri ai Pellirosse, dai Cosacchi ai Giapponesi, dai Cow-boys ai Gauchos delle Pampe» e a loro si aggiungevano militari americani e inglesi, Beduini, Zuavi e Cinesi, come riporta Roberto Caccialanza nel numero 4-5 (2011) di CremonaProduce.

A Cremona, il 18 aprile del 1906, è previsto un doppio spettacolo, ma da almeno un mese la città freme d’attesa. Si sa che anche il re Vittorio Emanuele III, la moglie Elena e la figlia Jolanda hanno apprezzato lo spettacolo e, addirittura, hanno voluto assistervi due volte. Il giornale «La Provincia» fa da cassa di risonanza all’evento, intervista l’amico e braccio destro di William Frederik Cody: il maggiore John M. Burke è «un magnifico tipo di americano solido e vegeto, basette candide, corporatura fortissima». Arriva in città in avanscoperta, l’organizzazione di una massa così grande di uomini e bestie è di stampo militare e nulla può essere lasciato al caso.

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Giuliana Chiti

L’imponente carovana di Buffalo Bill arriva a Cremona lo stesso 18 aprile, ben prima dell’alba. Ma la stazione è affollata all’inverosimile, e il servizio d’ordine dei carabinieri stenta a contenere i curiosi. Non stupisce, quindi, che vadano a vedere il circo anche Elena Gaffurri con le sorelle Savina (che anni dopo emigrerà in America) e Luigina.

«Mia nonna Elena - spiega Giuliana - era nata nel 1899. Faceva l’acconciatrice, aveva cominciato da bambina e lavorava andando nelle case. Aveva un giro importante, quasi tutte le signore più in vista della città si affidavano alle sue cure. Era una donna forte, determinata e molto autonoma per l’epoca. Prima di conoscere Mario, aveva avuto una relazione con un pittore da cui era nata una bambina».

In quella primavera del 1907, in ogni caso, le tre sorelle Gaffurri vanno al circo. Le immaginiamo vestite a festa, con i capelli arricciati per l’occasione e forse dei fiorellini freschi a ornare i cappellini. Non è dato sapere quando è come Mario ed Elena si sono incontrati. Probabilmente in quello stesso pomeriggio, tra uno spettacolo e l’altro. Forse davanti a un sorbetto o gustando lo zucchero filato. Lei aveva 18 anni, gli occhi scuri e i capelli un po’ crespi, il naso affilato ereditato dalla mamma Maria. Lui, nato intorno al 1880, è un poco più grande. Ha il fisico asciutto, i muscoli guizzanti - fa pur sempre il trapezista - e i capelli folti e neri. Ha girato il mondo e chissà quante storie da raccontare. Elena e Mario parlano, ridono, parlano ancora. Forse Savina e Luigina restano con loro, forse i due rimangono soli per qualche momento e riescono a scambiarsi qualche bacio. L’unica cosa certa è che fra loro è amore a prima vista. Mario fa ancora qualche tappa con Buffalo Bill, tra giapponesi che si sfidano a duello, messicani con il cappello a punta e indiani ornati di piume. Poi torna a Cremona dalla sua Elena. Nell’unica fotografia rimasta a Giuliana, Mario è di profilo, con una sigaretta in bocca, insieme ai cognati Abramo e Isacco.

«È andato a lavorare alla Banca d’Italia - aggiunge Chiti -, probabilmente grazie alle conoscenze di mia nonna, ma era una vita che non faceva per lui. So che non poteva più fare il trapezista dopo una caduta, ma non è riuscito ad adattarsi a un lavoro in banca, anche se nel frattempo era nato mio padre Arturo».

In un’Italia che qualche anno dopo avrebbe sognato Mille lire al mese, «un modesto impiego» e «una casettina in periferia», Mario decide di andarsene. Ancora una volta seguendo l’avventura, il desiderio di non essere imbrigliato neppure dall’amore.

«Mio papà ha sofferto molto per questa condizione di crescere senza padre pur senza essere orfano e non ne ha mai parlato molto. Qualche contatto deve esserci comunque stato, perché da ragazzo è andato a cercare il papà a Cervia. Il nonno è uscito da un albergo elegantissimo, tutto vestito di bianco e con una tuba in testa. In quell’occasione, ha detto a mio padre che era stata Elena a non averlo voluto seguire», aggiunge Chiti. Di nonno Mario sa che è morto nei primi anni Sessanta e che è sepolto a Città di Castello, dove si era rifatto una vita.

Mario ed Elena non si separeranno mai ufficialmente: la loro, nel bene e nel male, è una storia di cuore e non di tribunali. A lei, la ‘decana delle acconciatrici’ (così la definisce «La Provincia» quando muore), lui lascia un’eredità insolita: le insegna a leggere la mano e i tarocchi. «Mio padre non voleva e si arrabbiava - conclude Giuliana -, ma nonna Elena riceveva in casa molte delle sue clienti per predire il futuro». Chissà cosa aveva letto nella sua linea della vita e dell’amore.

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