L'ANALISI
ARTE E SCUOLA
29 Novembre 2022 - 05:20
Rodolfo Bona, Silvia Genzini, Silvia Coppetti e Alberto Ferrari
CREMONA - Questa, per quarant’anni, è stata la sua scuola e ne ha sempre serbato bei ricordi, che sono ricambiati, visti i suoi ex allievi presenti anche qui»: è quasi disarmante, la naturalezza con cui Silvia Coppetti spiega perché abbia deciso di donare una statua del padre Mario al liceo scientifico Aselli. E non una scultura qualsiasi, ma «La morte bianca 1942», dedicata ai caduti della Ritirata di Russa, alle decine di migliaia di morti inghiottiti nella steppa dal gelo e dal fango, dalla fame e dalle malattie. «
Questa non è solo un’opera d’arte, ma una testimonianza di storia e di vita, come del resto erano le sue lezioni», conclude la figlia dell’artista. Mario Coppetti sembra davvero essere tornato a casa, in quell’angolo di prato che rende meno grigio il cortile dello scientifico. A pochi passi dalla «Morte bianca 1942», c’è un’altra opera di Coppetti: è un busto di Leonida Bissolati, importante punto di riferimento per l’artista fin da quando, ragazzino, il padre ferroviere gli raccontava di una società costruita sui diritti e sull’uguaglianza. E questo in anni in cui il fascismo prendeva e manteneva il potere con gli assalti squadristi, i manganelli e l’olio di ricino.
«Un artista che amava la libertà», è scritto sul basamento della «Morte bianca 1942» e questo dice tutto di Coppetti, che fu, appunto, artista, ma anche uomo politico, insegnante, amministratore pubblico, maestro di antifascismo, sempre coerente.
«Questo luogo non è casuale — conferma Alberto Ferrari, preside dell’Aselli —, inviteremo i ragazzi a una riflessione. L’impegno civile di Coppetti è un esempio ancora oggi e questa scultura in particolare ci aiuta a capire cosa può fare l’uomo contro l’uomo, l’insensatezza della guerra e dell’odio. È un pensiero che oggi è purtroppo più attuale che mai».
Ieri in tarda mattinata c’è stata l’inaugurazione ufficiale, in un cielo lattiginoso e livido, e non c’erano ragazzi, «ma passano di qui. I più daranno un’occhiata distratta, ma qualcuno avrà modo di pensare», si augura Ferrari.
L’opera raffigura un uomo a terra, troppo esausto per rialzarsi. È un soldato senza più armi, un giovane mandato a uccidere e a essere ucciso. È un fagotto di stracci, ormai tutt’uno con la terra e potrebbe invocare la mamma o la giovane sposa. «Questa scultura - interviene Silvia Genzini, consigliera provinciale delegata all’edilizia scolastica - è una lezione di democrazia. Collocarla all’ingresso di una scuola è un po’ un obbligo morale e può essere un ponte tra le generazioni, ci fa vedere cosa provoca una guerra».
I cerchi — tragicamente — si chiudono. La morte bianca richiama la tragedia dell’Armir e Coppetti l’ha realizzata nel 1994, mentre l’ex Jugoslavia si dilaniava in un conflitto tutti contro tutti sanguinoso e insensato. E oggi il Donbass e l’Ucraina sono tornati a essere una tomba per migliaia di soldati e di civili indifesi.
«Sotto il profilo artistico - spiega Rodolfo Bona, critico e storico dell’arte, nonché amico dell’artista e della sua famiglia - ha sempre guardato a un’estetica classica, ma in alcuni casi prevale un’espressività molto forte. Penso a questa Morte bianca, ma anche alle opere dedicate al Vietnam o alla Cambogia. È come se l’attualità di guerre lontane gli facessero rivivere l’esperienza tragica della guerra da lui vissuta e facesse riemergere un dolore che non è mai passato, traducendosi in una resa espressiva molto forte. La ritirata dell’Armir dalla Russia avviene nel 1942, quando Coppetti ha meno di trent’anni e può toccare con mano dove portano le dittature e i totalitarismi. Ogni guerra arriva al cuore dell’odio, mette gli uomini gli uni contro gli altri e trasforma in vittime e carnefici allo stesso tempo».
L’uomo morente è un soldato italiano e insieme «tedesco, romeno, sovietico, ucraino, vittima dell’insensatezza di ogni guerra».
«Mario oggi sarebbe felice di essere qui e di quello che stiamo facendo. Il 10 novembre scorso avrebbe festeggiato il suo compleanno e questa inaugurazione è un modo per ricordarlo - ha detto ancora Bona -. E sarebbe felice di sapere che questa opera è qui all’aperto, nella sua scuola, in mezzo ai ragazzi. L’ha fatta nel 1994, quando alle porte d’Europa i nazionalismi più estremi hanno causato per l’ennesima volta una guerra sanguinosa. Sta succedendo anche oggi, in Ucraina».
Difficile o addirittura impossibile scindere l’artista dall’uomo: Coppetti attraverso le sue opere ha trasmesso quegli stessi valori civili che lo hanno guidato per tutta la vita, la coerenza del suo impegno politico, nel senso più nobile del termine, e un’etica laica e rigorosa. Quel soldato accartocciato su se stesso è lì a dimostrarlo.
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