L'ANALISI
15 Luglio 2025 - 05:05
Facciamo un esercizio. Digitiamo sul web ‘circolare governativa’ (motore di ricerca Google). Apriamo il primo file pdf che la pagina ci presenta. Scorriamo (dopo i vari ‘atteso che’, ‘visto che’) fino a scegliere un paragrafo qualsiasi. Io ho trovato questo: «La formazione del personale deve essere considerata, innanzitutto, come un catalizzatore della produttività e dell’efficienza organizzativa. Deve essere progettata e realizzata con l’obiettivo di incentivare l’innovazione e affrontare in modo consapevole e proattivo le sfide di un mondo in continua evoluzione. Le organizzazioni che danno priorità alla formazione e allo sviluppo delle conoscenze e delle competenze del proprio personale, infatti, sono sempre meglio posizionate nell’alimentare costantemente la cultura dell’innovazione, promuovendo un ambiente di apprendimento che incoraggia le persone a pensare in modo critico, esplorare nuove idee e affrontare i problemi creativamente».
Una circolare – come tante ce ne sono – che cerca di spiegare al lettore (plausibilmente un tecnico) quali siano le leve da muovere quando si imposta un corso di formazione, non importa quale. Lo leggiamo, lo rileggiamo… Musica per le orecchie. Lasciamo da parte il significato e concentriamoci sullo stile. Sentiamo che il testo è stato prodotto in un buon italiano; percepiamo che chi scrive sa il fatto suo e ha intenzioni nobili. Siamo indotti a pensare che lo sguardo sia rivolto in avanti: ci sono parole-chiave come ‘innovazione’, ‘evoluzione’, l’aggettivo ‘nuovo’ che fa sognare un bel futuro; c’è il verbo ‘incoraggiare’ (fa sempre piacere). La chicca è l’avverbio di chiusura (fulmen in clausola!): ‘creativamente’. Siamo tutti un po’ creativi o sogniamo di esserlo prima o poi. Sursus corda.
Proseguiamo l’esercizio. Il lettore riprenda a leggere, daccapo. Cercando di capire davvero, stavolta; immaginandosi di doverlo organizzare, il corso di formazione che la circolare vuole indurci a mettere in piedi. Si legga, si rilegga. E alzi la mano chi ha capito. Se dovessi organizzare il mio corso di formazione domani mattina, stando alle direttive del documento, non saprei da dove partire. La scrittura, la parola, è un incantesimo. L’Onnipotente ha creato il mondo con le parole: «Sia fatta la luce». E la luce ha iniziato a splendere sulla Terra. La scrittura sa costruire, a volte, ciò che non esiste. Trascina i lettori sprovveduti a capofitto nell’inganno senza che se ne accorgano; in una lingua costruita per ‘suonare bene’, ma che non significa niente. Che ci mette in soggezione (perché ‘loro ne sanno di più’) di fronte a scritti cucinati con trucchi ampiamente noti agli addetti ai lavori. E allora parliamone. Scorrendo il testo con un occhio più ‘critico’ – usiamo volutamente una delle parole scelte dall’autore ignoto del paragrafo – ci rendiamo conto che i paragrafi sono stati redatti in un linguaggio progettato per confortare l’orecchio del lettore, ma senza la sincera intenzione di comunicare qualcosa.
Qualche spioncino per il lettore smaliziato, che non vuole cadere nella trappola: le coppie di sinonimi (o quasi), che piacciono tanto alle orecchie degli italiani e di noi cremonesi. Cito: «progettata e realizzata». Differenza sottile, ridondante. Serviva davvero? Ancora: «In modo consapevole e proattivo». ‘Proattivo’ significa ‘rivolto al futuro’. ‘Consapevole’ significa ‘certo del presente’, in un certo senso. Un aggettivo vale l’altro, ma, di nuovo, suona bene. Innegabile. Provate voi a descrivere la vostra giornata. Nessuno ne ha avuta una ‘bella’. Tutti ne hanno trascorsa una ‘positiva e produttiva’, ‘interessante e stimolante’. Sempre due parole. Colpa di Petrarca, vero padre della lingua italiana (no, non è Dante). Il sonetto più famoso: «Solo et pensoso, i più deserti campi / vo mesurando a passi tardi et lenti». Due coppie di sinonimi in due versi; ma suona bene. Vero è che la prima grammatica – embrionale – della lingua italiana (era il 1525) è stata realizzata proprio a partire dai suoi testi.
Torniamo al nostro file pdf e scopriamo alcuni gradevoli terzetti (tecnicamente chiamati ‘tricola’, plurale) come quello della chiusa del paragrafo: «Pensare in modo critico (1), esplorare nuove idee (2) e affrontare i problemi creativamente (3)». La pancia del divoratore di testi è appagata; ma di che cosa ci siamo nutriti? E qui veniamo al vero cruccio, quello più grave, che ci dovrebbe allarmare: i sostantivi impiegati nel brano sono per la maggior parte astratti. Torniamo a scuola (10, 20, 30 anni indietro nel tempo) e facciamo l’analisi grammaticale del testo. Prendiamo carta e penna ed elenchiamo tutti i nomi astratti. Vi risparmio il lavoro: ‘formazione’, ‘personale’, ‘catalizzatore’, ‘produttività’, ‘efficienza’, ‘obiettivo’, ‘innovazione’, ‘modo’, ‘sfide’, ‘evoluzione’… Mi fermo alla terza riga e non continuo. Una buona scrittura deve essere ‘visibile’; qui, verrebbe la tentazione di azionare il tergicristalli. L’epilogo di questo esercizio di non-lingua (atteso che la lingua nasce proprio per comunicare): nessuno capisce più niente.
Parlano chiaro i risultati del rapporto invalsi 2025: solo il 62,4% degli studenti delle scuole superiori (16 anni in media) ha conseguito un risultato positivo. Significa che quasi due italiani su cinque non capiscono ciò che leggono. «Dopo la pandemia – si legge nel Rapporto Invalsi – si registrano valori inferiori ma complessivamente stabili nel tempo». Il risultato di un precipizio: nel 2018, la prova è stata superata dal 66% dei partecipanti. Più bravi quelli del 2019, con il 70% di sufficienze. Gli anni seguenti (dal 2022 al 2025) hanno registrato un calo importante: si è tornati al 66, poi al 63, e infine al 62. Ed eccoci qua, allo stesso punto dell’anno scorso. Lo zoccolo duro: il 13,6% del totale degli studenti ha totalizzato il punteggio peggiore (Livello 1). Più di uno su dieci. E non è solo colpa di un sistema che premia l’immagine (Instagram, Tiktok, Facebook) a scanso del testo, o dell’assottigliarsi della soglia di attenzione dei giovani. Noi adulti sapremmo organizzare un corso di formazione, leggendo la circolare ‘di cui sopra’?
Tirando le somme, siamo costretti ad ammettere una falla nel sistema. Comunicare significa scrivere chiaro. Scrivere chiaro significa dare al cittadino le basi per comprendere il mondo in cui è immerso. La prova del nove? Basti leggere qualsiasi articolo della Costituzione Italiana, splendido esempio di lucida scrittura. «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». A me il messaggio sembra chiaro. Molto chiaro.
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