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PENSIERI LIBERI

I timori dell'Apocalisse, l'attesa della speranza

Il Medio Oriente in fiamme, la guerra in Ucraina: ecco come sarebbe possibile intravedere non la fine del mondo che precipita nell’oscurità, ma il compiersi di un viaggio luminoso

Adelaide Ricci (Medievista, docente alla facoltà di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia)

28 Novembre 2023 - 05:25

I timori dell'Apocalisse, l'attesa della speranza

Nella foto una famiglia palestinese in cammino dalla parte nord alla parte sud di Gaza

Una delle dimensioni oggi più problematiche mi pare sia l’attesa. Cosa sappiamo attendere? E in che modo? Un figlio forse, già accerchiandolo di cose, quasi sbilanciandolo verso la materialità del vivere mentre ancora è più vicino – come nei sogni di alcuni visionari – alla misteriosa voce dello spirito. Attendiamo, quando la vita ci mette alla prova, la guarigione, non di rado con rabbia o emozioni sfuggenti in cui venature di paura si miscelano alle ombre dell’ignoto e a quelle di una rinascita dal profilo incerto eppure, ancora una volta, zavorrata da questioni il cui centro di gravità è tutto terreno.

Lo abbiamo visto anche nel tempo grave e quasi senza misura della pandemia Covid, quando la meta di un ritorno alla normalità e insieme l’anelito semplificato verso un mondo nuovo proiettavano l’attesa di un apericena (sostantivo interessante nel suo genere che può essere indifferentemente maschile o femminile – vocabolario Treccani alla mano) abbondante, affollato, alcolico quanto basta per dimenticare altre responsabilità. Di nuovo il pensiero di beni materiali, del calendario tra rate commerciali e attesa di una tv di dimensioni sbalordenti, un mese cadenzato dai denari: trenta come Giuda o trentuno per averne in aggiunta e superare le aspettative. Poi si attende una vacanza, che sia al mare o sulla costa o in un bel resort montano, così da ottenere la quinta scenografica di post e selfie o almeno una manciata di ‘stati’ sull’applicazione informatica di messaggistica istantanea multipiattaforma.

Guerra in Ucraina: l’incendio di un edificio residenziale di Kiev bombardato nel marzo del 2022. Ancora si attende la fine del conflitto

Ma guarda come dice le cose questa, commenterà il lettore. Non me ne voglia: questo è un racconto di attese, capaci di alimentare un po’ di invidia; e se qualcuno ci aspetterà al ritorno, sentirà narrare i dettagli. Attenda chi può, insomma; e chi deve e chi desidera e gli altri in coda, con il numero progressivo. Ma c’è un altro colore dell’attesa, una variante non virale di cui tuttavia possiamo ancora essere portatori (sani, talvolta perfino felici): la speranza. È una sfumatura che fa cambiare punto di vista e accende un mondo nuovo. Era, nei secoli medievali dell’Europa cristiana, l’attesa del ritorno. Proprio così. Non di rado anche oggi si invoca, in un modo o nell’altro, spesso fuori contesto, la fine del mondo: scenari catastrofici in prospettiva green e stropicciate paure uscite dai cassetti si mescolano a toni complottisti, identità digitali e avarie globali.

Come in un sogno, microchip e invasioni barbariche allacciano fantasia e scienza, entrambe capitanate da esperti che, affacciati a un video delocalizzato, discutono sfacciatamente ma senza mai rimetterci la faccia. Eppure, la fine del mondo era altra cosa. Era il compimento della storia, dimensione spazio-temporale il cui inizio era posto nell’uscita dall’Eden, immagine narrante gli effetti dell’umana libertà, poiché il libero arbitrio come dono di Dio non era in discussione. Le mappae mundi medievali figuravano esattamente questo spazio e questo tempo: al centro Gerusalemme, vale a dire i luoghi in cui si era compiuta la salvezza (morte e resurrezione di Cristo); nel globo (altro che terrapiattismo, annoto per inciso) una costellazione di luoghi resi santi dal passaggio di apostoli che avevano portato l’annuncio del nuovo vangelo, da Compostela (san Giacomo) a Vezelay (santa Maria Maddalena).

E a oriente, punto in cui sorge la luce, l’Eden. Queste mappe non erano infatti carte geografiche, ma un racconto in immagine per orientare il tragitto dell’umanità. Dove? Verso casa. Tornare alla dimensione ‘perfetta’ entro cui ci si era trovati a vivere, creature e specchio limpido del gesto creatore, era la meta. Ecco allora che gli sconvolgimenti immaginati nel punto ultimo della storia, o meglio nella sua fase finale che i testi apocalittici descrivono in modo piuttosto articolato, erano pensati insieme come segno e compimento di una trasformazione benedetta, di un possibile varco in cui scegliere sarebbe diventato dirimente.

Perciò gli ignavi – ossia quanti non prendono posizione tra bene e male, astenendosi dalla scelta – sarebbero restati esclusi da questo nuovo inizio, vagando senza luogo e senza pace. Per cogliere la prospettiva dobbiamo, per così dire, capovolgere lo sguardo rispetto alle consuetudini di pensiero del XXI secolo. Potrem(m)o allora intravedere non la fine di un mondo che precipita nell’oscurità e nell’oblio, ma il compiersi di un viaggio che dall’esilio dall’Eden proprio lì finalmente riconduce, dando senso a ogni sfumatura della storia. Dunque un passaggio luminoso, capace di riallacciare la forma umana al suo principio. E potremmo anche dire alla ‘memoria’ di Dio. Non vorrei che le parole rendessero troppo complicata questa dimensione di sguardo, questo volgersi dalla parte della libertà e della responsabilità, tanto meravigliosa quanto terribile nel senso originario dei termini, che rimandano allo stupore e al rispetto. Bisogna vivere. Ecco la speranza, medievale ma non solo: un luminoso mistero.

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