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La medaglia di latta fa fuggire gli eroi

Infermieri e operatori sanitari, tanto osannati durante la pandemia, ora si ritrovano con stipendi bassi, turni massacranti e poca sicurezza. Risultato: pochi iscritti ai corsi di laurea e dimissioni di massa

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

17 Settembre 2023 - 05:00

La medaglia di latta fa fuggire gli eroi

C’è una notizia che non fa certamente bene alla salute: calano ancora le domande di accesso ai corsi di laurea in Scienze infermieristiche e in alcuni atenei, per la prima volta, non raggiungono nemmeno il numero di posti messi a bando. Per dirne una, a Crema sono ancora disponibili 40 posizioni su 800 messe a bando. La riduzione media è del 10% rispetto allo scorso anno accademico: -12,6% al Nord, -15% al Centro e -5,7% al Sud. E in Italia mancano 65mila infermieri perché, nel contempo, si registra anche una fuga dalle strutture sanitarie. Un fenomeno che, peraltro, riguarda anche il personale medico. Se la carenza degli infermieri arriverà a pregiudicare la qualità delle cure, la sanità pubblica del Nord Italia è spacciata.

La motivazione è semplice. Gli eroi del Covid, tanto osannati nel periodo della pandemia — encomiabile ‘esercito’ che al fronte della salute pubblica ha contribuito in maniera decisiva con cuore, impegno, umanità e professionalità — hanno ricevuto lodi, abbracci e attestazioni di stima durante l’emergenza, e poi promesse di miglioramento economico, ma si sono ritrovati con in mano solo medaglie di latta, qualche targa sui muri di ospedali e edifici pubblici. E nient’altro. Un pugno di mosche. «Si licenziano perché guadagnano poco, con turni massacranti e c’è un forte rischio-sicurezza nei reparti, specialmente nei Pronto soccorso. Ormai non hanno più una vita familiare. Spesso li fanno rientrare dalle ferie. Molti hanno gravi problemi psicologici e fisici e poi in busta paga si vedono arrivare 1.400 euro al mese. A un certo punto, si dicono: meglio andare a fare il cameriere o un’altra professione», commenta tristemente Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up.

Enrico Marsella, presidente dell’Ordine provinciale degli infermieri, conferma che Cremona non è un’isola felice e allarga il fronte dell’analisi: «Una disaffezione che interessa anche altre professioni sanitarie, come i fisioterapisti. Il 2021 e il 2022 sono stati i primi due anni in Italia in cui i laureati medici hanno superato quelli che hanno conseguito il titolo in infermieristica. Il motivo? Da tempo noi lo ribadiamo. Questa professione, che ha una formazione importante e specialistica, sia in ambito manageriale sia clinico, non offre corrispondenti prospettive di carriera. Chi entra oggi nel servizio sanitario nazionale, dopo 40 anni, se resiste va in pensione con uno stipendio finale che beneficia solo degli scatti di anzianità».

Altro che eroi da premiare. Come i reduci delle prima guerra mondiale, una volta tornati dal fronte distrutti nel fisico e nel morale sono stati emarginati, ghettizzati, dimenticati: l’Italia del dopo conflitto (e il Covid è stata una guerra vera, con morti e feriti, tanti, milioni) deve sorridere e pensare al futuro in allegria e ottimismo. Senza rendersi conto che, magari, un’altra difficile prova è alle porte. Perché il Covid, dicono i dati delle ultime settimane, è tutt’altro che sconfitto: i contagi si moltiplicano, nelle corsie degli ospedali tornano pazienti con gravi problemi ai polmoni. Ma diciamolo sottovoce, se no parte l’accusa di essere disfattisti. Gli infermieri, i fisioterapisti e il personale sanitario in fuga o si ricicla in altri mestieri oppure guarda lontano.

Agli Emirati Arabi Uniti, in particolare Abu Dhabi, per esempio, sempre più loro meta: 3.400 euro netti al mese, alloggi pagati, due viaggi spesati per l’Italia e notevoli supporti di integrazione sociale di moglie e figli. E con i vari benefit si può arrivare a percepire 6mila euro netti al mese. Chi glielo fa fare di restare qui? Ma la fuga non è rivolta solo verso Abu Dhabi. Secondo i dati dell’Ocse, l’Organizzazione per internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, negli ultimi vent’anni a lasciare il cosiddetto Belpaese sono stati 131mila medici e circa 48mila infermieri. Cercano un nuovo Eldorado anche nel Regno Unito, in Svizzera e in Germania, in Francia e Belgio, ma anche in Israele e negli Stati Uniti. Perché il personale sanitario italiano è tra i più apprezzati al mondo.

Sconsolato il commento di De Palma: «È triste, e lascia decisamente l’amaro in bocca, dover constatare che l’Italia continua a formare le migliori eccellenze nel mondo sanitario per poi lasciarsele sfuggire e decidere, incredibilmente, di rimpiazzarle, come intendono fare dal Ministero della Salute, con professionisti provenienti dall’estero che non possiedono la nostra stessa formazione». Accessi difficili, burocrazia e scarsa premialità delle competenze, uno schiaffo in faccia al concetto di meritocrazia, sono le altre patologie che affliggono la sanità pubblica. La formazione di un infermiere richiede circa 22.500 euro sui cinque anni (13.500 per triennio: circa 4.500 euro all’anno) e quella di un medico 41.000 euro sui sei anni di laurea che con la specializzazione sale a circa 150-160.000 euro pro-capite. Questo si traduce negli ultimi anni in circa 3,5-3,6 miliardi investiti nella formazione di medici e infermieri che sono ormai patrimonio di altri Paesi.

Il Quotidiano della sanità sottolinea che anche se «i numeri non segnalano quanti poi siano tornati o quanti invece sono andati in pensione, evidenziano in ogni caso come il fenomeno, soprattutto a partire dal 2009 con l’inizio del blocco del turnover e dei contratti, sia molto rilevante e abbia impattato sulla carenza di personale che oggi vive il Sistema sanitario nazionale».

Secondo Anaao Assomed, l’Associazione nazionale aiuti e assistenti ospedalieri, «il futuro del Sistema sanitario nazionale è determinato dal numero e dalla qualità dei nuovi specialisti, aspetti attualmente di esclusiva pertinenza dell’università. Fino a quando la legge non consentirà l’ingresso del medico non specialista in ospedale, per formarlo in quella sede, come in tutto il mondo occidentale, il Sistema non ha alcuna autonomia nella definizione del proprio fabbisogno futuro. È possibile arrivare a migliori risultati attraverso una collaborazione stretta fra l’università e gli ospedali, che devono essere coinvolti, in tutta la rete ospedaliera, per consentire agli specializzandi di svolgere quelle attività pratiche previste dalla normativa e che, per ovvii motivi di dotazione di posti letto e casistiche operatorie, non può essere garantita dalla sola Università». Che sarebbe anche una buona ricetta per ovviare alle centinaia di caselle vuote negli organici dei reparti ospedalieri, che vedono andare sempre più spesso deserti i concorsi per l’assunzione di medici e infermieri.

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