L'ANALISI
29 Maggio 2022 - 10:34
CREMONA - Tempi duri richiedono posizioni ferme e nette. E davanti a una siccità, quella odierna, che non ha precedenti nell’ultima metà del secolo, gli agricoltori chiedono di essere ascoltati da Milano e Roma. «Siamo senza acqua – spiega senza mezzi termini Giovanni Ghidoni, vice presidente del Dunas –. Dichiarare lo Stato di calamità aiuta, di sicuro, ma non basta. Arrivati a questo punto bisogna dire chiaro e tondo che il deflusso minimo vitale dev’essere accantonato per qualche mese. Gli invasi delle centrali idroelettriche? Ci lavora tanta gente e servizio fondamentale, non metto in dubbio. Ma faccio una domanda a tutti voi, tutti noi. Va bene restare al fresco ma senza nulla nel piatto? I politici ci ragionino».
Il Dmv è un ostacolo troppo ostico, per ora, anche secondo Libero Stradiotti, Vice del Naviglio Civico: «Il limite del 50% al rilascio ci mette in ginocchio. Ho visto molte estati critiche e posso dire che le rogge a mezza portata non ci basteranno. Via i limiti dagli invasi lacustri, poi discuteremo con l’Enel degli alpini. Non resta che sperare nelle piogge della Pedemontana ma bisogna agire subito». Dal summit in provincia sono emerse proposte e piani ma il tempo per agire è poco. Dai campi del Cremonese e di tutto il Lombardo-Veneto si alza un appello più simile a un grido di soccorso e sull’importanza di ricorrere immediatamente a soluzioni drastiche c’è consenso quasi univoco. ‘Ora e subito’ non è un modo di dire, purtroppo si tratta di un calcolo matematico: «Il nostro mais – mette in chiaro Stradiotti – sta radicando il più possibile e può resistere ancora una settimana ma quella è la linea di demarcazione finale. Lo sviluppo vegetativo deve avere maggior acqua possibile e in fretta. La pioggia è un fattore troppo aleatorio su cui scommettere. Canali aperti a pieno regime e permesso di andare oltre al 50% di sfruttamento per i laghi di Como e Iseo con Adda e Oglio».
E chi pensa che si tratti di un problema per i soli coltivatori e produttori, non per i consumatori o più in generale per l’intera popolazione del Nord Italia, sbaglia e di grosso. «Il cambiamento climatico e la guerra hanno peggiorato ulteriormente una condizione emergenziale e di assoluta gravità che, comunque, era già ampiamente prevedibile – sostiene Ghidoni –. Gli stipendi e le pensioni non crescono, il cibo è sempre meno e dunque aumenta di prezzo. Dove andremo a finire di questo passo?». Le idee ci sono ma i tavoli vanno fatti anche Oltralpe e all'agricoltura lombarda serve un megafono che, per adesso, ha tenuto il volume sin troppo basso: «Siamo il settore primario, definizione non casuale – incalza il dirigente Dunas –. Sta alla politica decidere quale strada percorrere ma mi sembra il minimo pensare che i nostri politici ci aiutino a interfacciarci seriamente con le istituzioni europee dove vengono prese regolarmente decisioni quali il deflusso minimo vitale. Qui stiamo parlando anche di grandi capitali a rischio. Bisogna far sapere che gli agricoltori, per i raccolti, le anticipano tutte le spese. Sementi, concime, carburante, sono solo alcune delle voci su cui abbiamo tutti investito e come possiamo pensare di continuare a lavorare se corriamo il rischio di non veder nemmeno ripagato quanto speso o al meglio avere un minimo margine per rifiatare?».
All’unisono, le proposte pronte per chi, dal Pirellone, dalla Capitale o da Bruxelles, volesse raccoglierle: «Dobbiamo creare dei nuovi bacini sul Po, sfruttare le dighe montane, mettere da parte il deflusso minimo fino a emergenza rientrata e rilasciare immediatamente l’acqua dei laghi. I raccolti non possono andar perduti, sarebbe una catastrofe per tutti noi».
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