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Il chenopodio, detto anche farinello

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09 Agosto 2017 - 17:30

Il chenopodio, detto anche farinello

Etimologia: Chenopodium: dal greco “χήν chen” = "oca" e “πούς, ποδός pus, pódos” = "piede": con riferimento alla forma delle foglie
L'epiteto album: , ecc.; (Abies) per il colore bianco-grigio argenteo della corteccia degli esemplari giovani.
Come provato dalle risultanze di molti studi archeologici, il chenopodio è stato impiegato per uso alimentare fin da tempi immemorabili. La varietà più comune è il Chenopodium album, dai cui semi gli atzechi ricavavano una farina. Ancora oggi si può confezionare dell’ottimo pane usando farina di chenopodio.
Il chenopodio selvatico appartiene alla famiglia delle chenopodiacee, come lo spinacio di cui ricordiamo il Chenopodium bonus Enricus, o Buon Enrico, un ortaggio ormai in disuso ma molto gustoso.
E'una pianta diffusissima ovunque e annuale facilmente riconoscibile per la pruina che ricopre le foglie oltre che per la forma delle stesse (a piede d'oca).  Cresce praticamente dappertutto, anche tra le macerie di vecchi edifici, a partire dal mese di aprile. Fiorisce all’inizio dell’estate. Per ottenere i semi è sufficiente stropicciare tra le mani le infiorescenze mature. E’ simile all’amaranto: all’inizio della crescita può essere utilizzato come pianta intera, eliminando solo le radici e la parte bassa del fusto, sia cotto che crudo insalata: in questo caso si utilizzano solo le foglioline. . Nello stadio più avanzato della crescita si utilizzano le cime tenere, che rimangono tali anche durante la fioritura: le cime fiorite si possono utilizzare come i broccoli. Il nome di farinello deriva dalla presenza di una pruina bianca sulle foglie, simile a minuscole goccioline d’acqua. Il nome Chenopodio (che significa a piede d’oca) deriva invece dalla forma della foglia. La presenza della pruina garantisce la genuinità del chenopodio, e impedisce che venga scambiato con altre piante simili ma non commestibili.
Ogni pianta di chenopodio può produrre decine di migliaia di semi. Quando dalle infiorescenze stropicciate tra le mani cominciano e fuoriuscire i semi, queste si raccolgono e si completa l’essiccazione in un luogo riparato, su carta o cartone ben asciutti; si separano poi i semi dal resto della pianta, anche se non occorre eliminare tutti i glomeruli perché sono commestibili anch’essi.
Proprietà
L'uso della pianta risale nella preistoria con testimonianze ritrovate negli scavi in alcuni stati europei (Danimarca,Svizzera, Spagna, Francia e nelle Americhe). Oggi gradatamente soppiantato da C. bonus-henricus e dagli spinaci.
Le foglie di chenopodio sono ricche di micronutrienti quali vitamine A e C, calcio, potassio e ferro. Apportano una discreta quantità di vitamina B oltre che proteine e fibre. I semi contengono Lisina, precursore di una vitamina come la Niacina, essenziale per l'organismo umano che non è in grado di sintetizzarla.
Il chenopodium album è annoverato tra le piante medicinali spontanee in quanto può contare su proprietà antielmintiche (è un buon vermifugo), antiflogistiche (riesce a prevenire o addirittura curare un gran numero di infiammazioni), proprietà antireumatiche e, grazie alle proprietà lassative, può tornare utile in caso di stipsi e costipazione.
In Italia viene ancora utilizzata in alcune regioni (specialmente la Toscana) per preparate il ripieno per i ravioli o per colorare la pasta.
Farina di Chenopodio
I semi di chenopodio e quindi la farina da essi ricavata, contengono dal 16 al 21% di proteine, dal 42 al 69% di glucidi e dal 4 al 5% di lipidi. La rimanente componente è rappresentata da fibre.
E’ ricca di niacina e apporta una buona quantità di magnesio, calcio, potassio, ferro e fosforo. Il modo migliore per consumare la farina di chenopodio è abbinarla a quella ricavata dai classici cereali. Le proteine della farina di chenopodio non sono a elevato valore nutrizionale come quelle della farina di amaranto, tuttavia sono ricche di lisina, un’amminoacido carente nelle farine dei classici cereali.
Il chenopodio in cucina
Il farinello è largamente usato in cucina. Di questa pianta spontanea si consumano i semi, le foglie, i fusticini e i germogli.
I semi si prelevano dalle piante in estate, sfregando le infiorescenze tra le mani. Una volta raccolti, i semi si possono usare come quelli dell’amaranto: si può ricavare la farina usando un macina caffè o si possono usare per ricette di zuppe, minestre, biscotti, dessert, sformati… Per tutte le informazioni vi rimandiamo all’articolo Amaranto, ricette. L’unica precauzione, prima di usare i semi di farinello si consiglia di lasciarli a bagno per una notte così da farli intenerire e diminuire i tempi di cottura.
Le foglie del chenopodium album si possono raccogliere in primavera e si consumano, insieme ai germogli e ai fusticini, previa bollitura. Vi basterà sbollentare il chenopodium album per pochi minuti, finché le foglie della pianta non risulteranno tenere.
Così cotto, il chenopodio in cucina può essere usato come lo spinacio (infatti appartengono alla medesima famiglia). Con il chenopodio è possibile sostituire gli spinaci in tutte le ricette, dai cannelloni al ravioli ripieni.
Durante la cottura, il chenopodio ridurrà di molto il suo volume (proprio come accade con il broccolo friariello o broccolo napoletano). Per questo motivo, non siate avari con le dosi da usare in cucina.
Un’antica ricetta contadina, saporita e veloce da preparare, per cucinare il chenopodio, consiste nel farlo saltare il padella con aglio, olio e pancetta.
Curiosità. Questa pianta, spontanea nell'America boreale, veniva coltivata dagli indigeni del Nuovo Messico, dell'Arizona e dello Utah perché la consumavano cotta per minestre e con i semi ridotti in farina panificavano per fare focacce o usata come la nostra polenta.
La stessa specie fu coltivata in Asia e India per superare le carestie e tenere in vita uomini e animali. Con la coltivazione degli spinaci cadde in disuso.
E' una specie parecchio invasiva tanto da mettere in difficoltà la coltura di altre piante come le patate, il frumento e gli ortaggi in genere, oggi viene ormai indicata tra le malerbe.

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