L'ANALISI
11 Maggio 2025 - 12:15
CREMONA - Ha percorso l’Italia in lungo e in largo, ha viaggiato lungo le strade del mondo, ma poi tornava sempre a Cremona e in riva al Po: si intitola semplicemente ‘100 anni di click. In mostra le foto di Ezio Quiresi nel centenario della nascita’ la retrospettiva che sarà aperta all’Adafa a partire da sabato prossimo, con inaugurazione alle 17. La mostra, poi aperta fino al 15 giugno, è organizzata dal Gruppo Fotografico Cremonese - Bfi Adafa, in collaborazione con il sodalizio di Casa Sperlari e il patrocinio del Comune. A curare l’esposizione sono stati Paolo Ghiringhelli (presidente del Gruppo Fotografico), Alberto Bruschi, Davide Volpi, Lauro Guindani, Giuseppe Begarelli, Fulvio Stumpo e la famiglia Quiresi.
Quiresi ha fotografato per tutta la vita, raccontando e testimoniando e diventando forse suo malgrado cantore di un mondo che oggi non c’è più. «Si nasce con la fotografia dentro», era solito dire. E lui aveva infatti cominciato da ragazzino, quando ancora frequentava l’Ala Ponzone. E aveva proseguito dopo, fino a farne una passione totalizzante e infine un lavoro apprezzato e riconosciuto a livello internazionale.
Nato il 24 agosto 1925 da Cesare e Maria Monticelli, Ezio ha avuto fin da subito uno sguardo privilegiato sul mondo. I suoi gestivano La Büusa, un’osteria in via Mantova che allora segnava il confine tra la città e la campagna. E non appena poteva, papà Cesare caricava Ezio sulla canna della bicicletta e andavano a Po, a vedere il Grande fiume in ogni stagione e con ogni luce, a parlare con la gente e a sentire i crepitii e gli schiocchi nei canneti. Poi il lavoro, già nel 1939 a 15 anni come perito industriale, la passione per il calcio (aveva giocato anche in Svizzera) e il volo. Proprio al volo a vela Quiresi dedica il suo primo servizio: è il 1943 ed è il primo di una serie praticamente infinita. Quella di Quiresi è una carriera lunghissima e proficua che coincide con la vita. Attraverso la fotografia, Ezio ha raccontato Cremona: i luoghi più intimi della città, le trasformazioni, i fatti di cronaca, la gente. Volti oggi scomparsi - su tutti quello di Pirlin, il ‘paradour’ -, lavori che nessuno fa più, inghiottiti da una modernità che non sempre ha portato progresso.
E poi Quiresi ha raccontato il mondo, i Paesi esotici che ha visitato per Le vie del mondo, prestigiosa collana del Touring Club Italiano di cui diventa collaboratore a partire dal 1957. Già negli anni Cinquanta il nome e gli scatti di Quiresi cominciano a farsi apprezzare a livello internazionale. Il fotografo cremonese è invitato a mostre prestigiose, si afferma nei concorsi, partecipa a saloni insieme al gotha della fotografia mondiale. Quiresi, ha ricordato Roberto Caccialanza in Quella poesia chiamata Po, è «al passo dei migliori professionisti italiani, che ben presto sarebbero diventati suoi grandi amici: Berengo Gardin, De Biasi, Farri, Merisio, Roiter, per citarne solo alcuni». È attento, curioso, colto come lo sono molti autodidatti avidi di sapere, poliglotta. Viaggia per il Touring, viaggia per passione, viaggia con l’amico Fiorino Soldi, allora direttore de «La Provincia», con cui condivide numerosi reportage. Collabora a riviste - è ancora l’epoca d’oro della fotografia -, a cataloghi ed enciclopedie, partecipa a mostre personali e collettive.
E continua a fotografare Cremona, Ezio. «Elia Santoro - ricorda ancora Caccialanza - affermò che le foto di Quiresi ‘posseggono la nobiltà del taglio e l’intima comunicativa poetica, ed esprimono più di quanto la stessa natura potrebbe suggerire. L’uomo, infatti, emerge con la sua presenza fisica, ma anche con la sua immaginazione’». Testimonia, documenta e soprattutto scatta, scatta, scatta. Presta molta attenzione al mondo del lavoro e a come si trasforma e per ben 34 anni affianca l’Ocrim per raccontare la realizzazione di mulini in ogni parte del mondo. Anche alle donne lavoratrici dedica momenti importanti del suo lavoro e anche in questo caso registra attraverso le immagini un cambiamento che si sarebbe rivelato epocale anche sotto il profilo antropologico e sociale. «Aveva cominciato a raccogliere una serie di immagini meravigliose di donne degli anni cinquanta e sessanta durante il lavoro - ha ricordato Guido Conti ne La mia Cremona vol. 1 -. Mondine, contadine dell’Emilia e del sud Italia, ricamatrici del Salento e dell’Irpinia, giovani e vecchie che cucivano insieme o rammendavano le reti dei pescatori nei porti di Chioggia. Ne veniva fuori uno spaccato delle lavoratrici, del modo di vestire e della vita delle donne prima che il boom economico degli anni sessanta omologasse non solo il loro lavoro ma anche l’abbigliamento ‘tradizionale’ con la moda. Ezio ha salvato e testimoniato un’Italia alle soglie dello sviluppo economico, quella che tanto aveva fatto arrabbiare Pasolini e Guareschi. Un’Italia di pochi decenni fa ma cambiata nel profondo, non solo negli abiti ma anche nell’anima».
Fotografa in bianco e nero, ma non disdegna il colore. E non si spaventa all’arrivo del digitale, tecnica con cui fissa in particolare composizioni floreali e nature morte. Era, conclude Caccialanza, «un ‘fotoreporter extracittadino’ che nonostante tutto ha sempre mantenuto le proprie radici a Cremona e un intimo contatto con il silenzioso fluire del Po: con poesia, nelle immagini rubate, nelle pose studiate con infinita cura, affiorano continuamente curiosità e desiderio, attesa, sorpresa per una bellezza nascosta nelle pieghe del quotidiano».
Quello di Quiresi era uno sguardo amorevole e rispettoso, poetico ma mai lezioso né estetizzante. Le sue composizioni sono pulite, limpide come i suoi occhi chiari. Erede di una grandissima tradizione, Quiresi appartiene a quella generazione di fotografi che hanno imparato a fotografare e anche a stampare, a capire ‘prima’ l’immagine che sarebbe uscita ‘dopo’ dalla camera oscura, ovvero a pensare a ogni inquadratura.
«Forse la vera sfida per il fotografo - ha scritto Conti nel libro La mia Cremona vol. 2 - è quella di non muoversi dal proprio territorio, continuando a immortalare per tutta una vita gli stessi paesaggi, gli stessi orizzonti, perché la terra in cui si vive è una scommessa per descrivere ciò che sembra ovvio, banale perché quotidiano, senza emozione perché sempre sotto i nostri occhi. Un fotografo che racconta la propria città deve sorprenderci ogni volta perché svela un mondo che si pensa di conoscere già bene».
Stupisce sempre rivedere le fotografie d’epoca di Cremona. A volte sembra che il tempo non sia trascorso: certi vicoli del centro sono immutati, la nebbia e la galaverna dell’inverno padano sono gli stessi da sempre. In altre immagini si è catapultati in un altro pianeta. Lo sguardo di Quiresi, morto a Ferragosto del 2010, non induce alla nostalgia. Come fotografo, registrava ciò che accade e inevitabilmente oggi non c’è più. Un testimone prezioso, preziosissimo del suo tempo. Un narratore attraverso le immagini che ha saputo raccontare il mondo.
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