L'ANALISI
IL MEDICO ASSOLTO DA OGNI ACCUSA
02 Agosto 2022 - 21:36
PERSICHELLO - Appuntamento alle tre del pomeriggio di oggi a Persichello, nella villetta al civico 2 di via Salvador Allende. Il giardino, l’orto, il garage-officina. Qui nella casa dei suoi genitori, il padre Luigi, 79 anni, e la mamma, scomparsa quattro anni fa, Carlo Mosca, 49 anni, primario facente funzioni del Pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari, ha trascorso l’infanzia, l’adolescenza, la sua vita da studente universitario. E 522 giorni agli arresti domiciliari da innocente. Blindato nella villetta dal 25 gennaio del 2021, lunedì, sino all’1 luglio scorso, venerdì, quando la Corte d’Assise di Brescia gli ha tolto la patente di primario killer: assoluzione con formula piena dall’accusa choc di aver ucciso tre pazienti Covid e atti trasmessi al pm per calunnia nei confronti di due infermieri che lo hanno accusato. Infangato e sospeso dall’Ordine dei medici.
Dottor Mosca e adesso torna a lavorare?
«Adesso sono appena rientrato da Cervia con la mia compagna e mia figlia. Mi hanno messo in ferie, devo recuperare quelle del 2020 e del 2021. Ma io voglio tornare a lavorare all’ospedale di Montichiari. Voglio riprendermi il mio ruolo. Quella è la mia casa. Mi aspettano tutti, sindaco, vicesindaco, farmacisti, medici di base, tutti mi stanno preparando gli striscioni. Io vorrei tornare l’1 settembre».
Dopo l’assoluzione, si sono fatti vivi in molto per proporle un posto.
«Crema, Lonato... Due lunedì fa sono andato a colloquio con Massimo Lombardo, direttore generale del Civile. Si è complimentato, mi ha detto che ha seguito la vicenda e poi è venuto al sodo».
Qual è il sodo?
«Aveva in mente di farmi fare un anno di transizione al Civile come senior consulter per vedere com’è l’ambiente che già io conosco, per poi aprire a giugno dell’anno prossimo il concorso da primario e farmelo vincere».
Non male.
«Ho rifiutato. Lui ci è rimasto un po’, perché sarebbe la piazza migliore per quanto riguarda Brescia».
Perché ha rifiutato?
«Intanto, io ho colleghi più o meno coetanei che sono lì da tanto tempo».
Non voleva scavalcarli
«Esatto. Al dg ho motivato il mio rifiuto».
Come?
«Montichiari è il vertice alto di un triangolo che come basi ha Cremona e Mantova. Essendo equidistanti, io vado a Mantova dalla mia compagna e da mia figlia, a Persichello da mio papà».
Solo una questione logistica?
«Non solo. E’ una questione di affetto. Montichiari è stata la mia casa. Ho cominciato lì nel 2005-2006. Il direttore generale mi ha detto di pensarci bene, perché il Civile sarebbe stata una carica importante, perché Brescia è un’ottima vetrina, che dovevo ragionare non di pancia».
Lei ha ragionato con il cuore.
«Sì. Ma a Montichiari c’è un problema».
Quale?
«Un anno e mezzo fa...».
Mentre lei era ai domiciliari...
«Hanno indetto un concorso a tempo di primariato e hanno messo una mia collega di Brescia, Giovanna Perone, che ha vinto il concorso interno».
Il posto per lei non c’è più
«Al dg Lombardo ho detto che quel posto è mio, di trovarmi un’altra unità semplice, dipartimentale, io ritorno».
E il dg?
«Mi ha detto: ‘Va bene, ci pensiamo’. Ho detto di pensarci alla svelta, perché dovevo chiamare Fontana».
Attilio Fontana, il presidente di Regione Lombardia?
«Sì».
Lo conosce?
«Ci eravamo conosciuti durante il periodo del Covid, prima no. Il sabato 2 luglio mi aveva chiamato per complimentarsi dell’assoluzione. Eravamo rimasti d’accordo che lo avrei chiamato dopo l’incontro con il dg del Civile. Al pomeriggio l’ho chiamato».
Che cosa ha detto a Fontana?
«Mi ha risposto subito ‘Com’è andata dottore?’. ‘C’è qualche impedimento’. Mi ha detto: ‘Vada in ferie, faccio qualche telefonata, vediamo come risolvere, se lei vuole tornare a Montichiari, è giustissimo che lei vada a Montichiari». «È un tuo diritto», interviene il padre Luigi.
Torniamo a quel lunedì 25 gennaio del 2021, quando i carabinieri le notificano l’ordinanza di custodia cautelare qui nella villetta di Persichello.
«La domenica avevo smontato il turno alle 20, alle 21 ero da mio padre».
Alle quattro e mezza del mattino hanno bussato i carabinieri.
«Tre macchine, due dei Nas e una dei carabinieri di Vescovato. Mi hanno fatto accomodare in cucina, mi hanno fatto firmare i documenti di sequestro del telefonino, dei tablet, del computer. Hanno ribaltato la casa, le auto, un’altra piccola casa che abbiamo. Senza causare danni, però. Per un paio d’ore, mi hanno portato in caserma a cremona, mi hanno fatto il dna, le impronte digitali, le foto, mi hanno riaccompagnato a casa».
Dottor Mosca, lei sapeva di essere indagato da luglio del 2020, quando il pm dispose l’esumazione delle salme. Si aspettava di essere arrestato sette mesi dopo?
«Non mi aspettavo una cosa del genere. Ho chiamato i miei avvocati (Elena Frigo e Michele Bontempi, ndr)».
La sua prima reazione?
«Ho letto l’ordinanza».
Un’ordinanza pesantissima: l’accusavano di aver voluto uccidere i tre pazienti Covid per liberare letti, ma anche perché forse sotto stress era impazzito.
«Ma le pare?»
«Guardi qui». Il padre porta una pagina del quotidiano La Provincia incorniciata. È il servizio a firma di Serena Ferpozzi, sul primario Mosca che a Montichiari aveva ricavato numerosi posti letto nella mensa. «Mio figlio è stato un grande, non un piccolo medico».
Da medico si è studiato il codice.
«Sono diventato un po’ avvocato. Ai miei avvocati ho detto di risolverla subito. Non immaginavo fosse così lunga. i primi giorni sono stati di agitazione, perché non sai dove vai a sbattere».
Avrà pensato: «I giudici mi crederanno?».
«Non pensavo a quello. Io ero convinto della mia innocenza».
Signor Luigi, è stata durissima.
«Bisogna provarle certe cose. Io da quel giorno ho smesso di parlare. Mi hanno tolto dieci anni di vita. Mi sono ridotto ad andare alle sette del mattino a prendere il giornale e a trovare mia moglie al cimitero per non incontrare nessuno, perché era un continuo chiedere. Ma mio figlio ha un carattere fortissimo».
Giornate lunghe.
«Lunghissime. Ci siamo divisi i compiti. La mattina fino alle 9.30 facevamo i mestieri in casa, poi andavamo a fare un po’ di lavori in garage fino a mezzogiorno: biciclette, restauro di motorini fino a mezzogiorno. il mio hobby da oltre 20 anni, poi il pranzo».
Chi cucinava?
«Io. Papà lavava. Fino alle 15 pennichella. la sera papà andava a letto verso le 22-22.15. Io ero sul divano, lo sentivo pregare la mamma e mi veniva un magone. Dopo i primi due mesi la nostra vita era diventata quasi normale».
Interviene il padre: «Se io mi fossi trovato da solo, al pensiero che Carlo fosse condannato all’ergastolo, sarei diventato matto. Siamo stati bravissimi a gestirla, Carlo ha un gran carattere, però ha avuto la gran fortuna di avere un padre come me e me ne vanto». Interviene il figlio: «È successa anche una cosa».
Cosa?
«Io ho perso un grande amico che era Giuseppe Dedonno».
Il dottore di Mantova che si è impiccato.
«Tante volte, durante il lockdown portavo la spesa a papà e magari mi fermavo a dormire la sera. Sentiva le mie telefonate con Giuseppe. Quando si è impiccato, mio padre è rimasto molto turbato. Pensava che anch’io facessi questa stupidata».
Signor Luigi, ha guardato suo figlio a vista.
«Non l’ho mai mollato».
Sua figlia?
«Potevo vederla un sabato sì e uno no. La mia compagna me la portava alle 15 alle 17». E, poi, c’era sua cugina Antonella. Vi portava la spesa, ha sempre seguito le udienze, «e la sera sul cancello di casa mi faceva parlare».
L’1 luglio la sentenza.
«Sono tornato a casa alle 23».
Signor Luigi, ha pianto?
«No. Di lacrime non ne avevo più, ne avevo già versate tante prima. Quello che ho passato non lo auguro al peggior nemico».
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