SOS ACQUA
19 Luglio 2018 - 15:16
Migranti al largo su un gommone diretti in Italia
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Il teatro frequenta il simbolico ed è occasione per entrare nel cuore del presente. Mentre l’attualità ci parla di porti chiusi, di migranti respinti, mentre la paura dell’altro fa breccia nei cuori, mentre è palese l’inadeguatezza della civilissima Europa nel gestire quella che è una migrazione e la storia insegna che le migrazioni non si fermano, mentre accade tutto questo, in un piccolo paese della Romagna, Santarcangelo, nell’ambito del festival per eccellenza dell’Italia teatrale l’esperienza migrante diventa esperienza dei singolo/spettatore, diventa esperienza fatta di inchiostro e di un certo imbarazzo nel cancellare dalle dita il segno dell’estraneità, dell’ospite indesiderato.
Tutto ciò accade nella performance ideata da Tania El Khouri, As Far As My Fingertips Take Me che rende ogni spettatore migrante. Tania El Khouri, artista britannica di origini libanesi, attenta al potenziale etico e politico che scaturisce dall’interazione col pubblico, propone un incontro, attraverso un muro, tra uno spettatore e un rifugiato. In un’aula delle scuole elementari del paese si entra uno alla volta, la performance dura dieci minuti. Si indossa un camice bianco, ci si siede e si pone il braccio in un buco ricavato nella parete di legno in cui campeggia un testo che è la traduzione di una canzone. La performance per spettatore solo chiede di ascoltare in cuffia la storia di un richiedente asilo, il canto di chi ha attraversato il Mediterraneo per una vita migliore. Nel mentre non visto Basel Zaraa, artista e musicista, disegna sul braccio dello spettatore delle sagome di uomini in viaggio e prende le impronte digitali. E’ un contatto gentile, rispettoso, delicato, il caldo delle dita fa da contrasto con il fresco dell’inchiostro, sensazioni. Alla fine dopo aver ascoltato la storia in cuffia, si estrae il braccio tatuato con sagome di un uomo che cammina verso un altrove, collegato con il centro della mano. I polpastrelli delle dita sono sporchi di inchiostro, quello che serve per prendere le impronte dei migranti non appena sbarcano su territorio europeo, italiano.
Si esce segnati ma nella possibilità di lavarsi via il nero dell'inchiostro dai polpastrelli si avverte netta la sensazione di essere malvoluti, guardati con sospetto, schedati…. Quell’inchiostro fatica ad andar via, te lo porti appresso per un po’, non bastano acqua e salviettine umidificate. E’ una strana sensazione, ci si sente marchiati e si condivide – simbolicamente? – una condizione di ospite indesiderato, di estraneità. Anche questo può fare il teatro: aprirci a una visione altra. A parole si può dichiarare l’attenzione all’altro, la condivisione della sua condizione di marginalità, ma quell’inchiostro che non se ne va ci trasforma nell’altro/migrante e la sensazione di estraneità ci si attacca sulla pelle. Provare per credere. Forza vivificante del teatro, forza di quel ‘Cuore in gola’ perseguito negli appuntamenti del festival Santarcangelo 2018.
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